3 Gennaio 2011

Per la Repubblica che noi siamo



Un passaggio su tutti mi ha colpito profondamente; una frase che da sola ben riassume
la profondità di vedute e di pensiero ben fisse nella mente del segretario e di tutto il Pd.
Una visione strategica, a mio parere, per l’avvenire di questo nostro Paese. Bersani ad un
certo punto, scandendo bene le parole, ha detto: “Noi non dobbiamo suscitare passione per
una persona, ma per la Repubblica”. Mi soffermo su questa affermazione, per certi versi
inattuale, ma che ho sentito profondamente carica di speranza. Ricordo che poco prima,
Bersani aveva detto chiaramente che mai permetterà di iscrivere il proprio nome sul simbolo
del partito perché non è il singolo, non è l’enfasi personalistica sul leader che conta, bensì
la forza del collettivo, di tutte le persone che si mettono in gioco per il bene di una buona
politica e del Paese. Ebbene subito dopo il segretario ha esteso tale principio dall’ambito
particolare del partito, a quello generale della Repubblica. Un colpo magistrale non di
retorica, ma di densa e alta sostanza politica.

La politica è passione e non solo ragione, certamente. Ma troppe passioni da troppo
tempo vengono suscitate e orientate su un uomo solo, su chi dice di governare da leader
carismatico grazie ad un mandato popolare misticamente richiamato ogni volta come
fosse un atto di fede soprannaturale, più che un atto politico ad opera del corpo elettorale
italiano afflitto, peraltro, da un sistema mediatico anormale. Bersani ha detto che il Pd
deve farsi carico di suscitare passione nei cittadini perché è consapevole che la sfiducia
e la disillusione verso la politica e i politici sta dilagando pericolosamente, ma ha anche
detto che innescare la passione per un uomo solo facendo credere che sia inviato dalla
Provvidenza ci condanna al declino e all’irresponsabilità generale.

L’unica passione che dobbiamo nutrire e suscitare è per la Repubblica. Sì, la Repubblica.
Non lo Stato, non la Nazione, non il Popolo, ma la Repubblica perché questa riassume
in sé il popolo che noi siamo, unità di singole persone, unità di corpi sociali intermedi e

istituzioni. Istituzioni a noi non estranee perché ci rappresentano e sono a custodia della
democrazia, dei suoi principi, delle sue leggi, contro le brame di potere dei singoli o ancor
peggio di un singolo.

E’ ora di tornare al primato della Repubblica che nessun velleitarismo leaderistico deve
insidiare. Il leaderismo/cesarismo è figlio della passività e delle passioni superficiali, tipico
delle fasi di decadenza sociale e politica che periodicamente attraversano la storia di un
popolo. E’ a questa passione per la Repubblica unica e indivisibile, una e plurale nelle
sue autonomie locali che dobbiamo tornare a credere. Tutto questo è scritto nella nostra
Costituzione in cui non c’è spazio per il populismo e le derive demagogiche. Va detto e
ridetto che il popolo è sovrano ma esercita la sua sovranità nelle forme e nei limiti sanciti
dalla Costituzione, non in modo assoluto e assolutistico. E questo affinché il popolo, qualora
ebbro di demagogia indotta, non venga travolto dal suo stesso potere sovrano come è già
successo in passato. Non dimentichiamoci che le costituzioni vengono scritte nei periodi
di sobrietà, lucidità di un popolo e delle sue istituzioni, proprio perché sappiano superare
indenni i possibili periodi di sbandamento ed ebbrezza.

L’alternativa che pone il Pd è secca. Da un lato c’è il centrodestra berlusconiano che
concepisce il popolo come massa che vota, massa da persuadere e blandire, massa
d’individui da allevare come polli in batteria per il consumismo, individui a cui promettere
una libertà onnivora del “faccio quello che voglio” in base al “principio di piacere” infantile
e non al “principio di realtà” adulto e responsabile, del “prima vengo IO e poi gli ALTRI”,
prima vengono i miei interessi particolari, poi, forse, di risulta, quelli generali.

Dall’altro, un altro modello che il Pd rivendica come necessario: il ritorno alla sobrietà
di un’Italia fondata su una libertà che non procura disuguaglianze economiche, sociali,
generazionali, culturali, ma produce condivisione e spirito di solidarietà gareggiando
ad essere migliori non peggiori. Il Pd non vuole un’Italia populista-individualista, bensì
una grande comunità nazionale fondata sull’imprescindibile legame fra centralità della
persona umana con i suoi diritti e le sue responsabilità e la grande comunità nazionale che è
intimamente articolata in tante comunità locali.

Oggi c’è una grande sfida politico-culturale da affrontare: c’è un “noi” da ricostruire perché
i singoli “io” possono e devono ritrovare la strada di uno sviluppo equilibrato all’interno
di un quadro democratico sano. C’è una Repubblica da rimettere in campo con tutte le
sue energie produttive di lavoratori dipendenti, autonomi, professionisti, uomini e donne,
anziani e giovani. C’è una Repubblica piena di energie morali ed intellettuali sopite da
risvegliare, perché senza una rinnovata moralità e un impegno personale sarà difficile
riportare in alto anche la moralità pubblica specialmente nelle istituzioni; perché senza un
investimento serio sulle intelligenze delle nuove generazioni con una scuola e un’università
adeguate non ci potrà essere innovazione, crescita culturale e materiale di questo Paese.
Oggi sono convinto che verranno giorni migliori per l’Italia e che il Pd è già in prima fila
per prepararne l’avvento.

Giovanni Ghiani
Presidente assemblea provinciale Partito Democratico di Pordenone
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