8 Luglio 2008

Programma fondamentale per il decennio


1. Il Partito.

Il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia si prefigge di essere la forza politica culturalmente ed elettoralmente maggioritaria che rappresenta i cittadini, le famiglie e le imprese agendo, anche nelle sedi istituzionali, affinché i soggetti rappresentati possano godere delle più ampie opportunità in un contesto di libertà, uguaglianza, pari opportunità e coesione sociale. Il Partito Democratico riconosce i valori che ispirano la Carta costituzionale nata dalla Resistenza antifascista, unitamente a quelli della Carta dei diritti umani fondamentali dell’Unione Europea e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, e li assume come princìpi validi per tutti, al di là delle disuguaglianze legate alla nascita, all’educazione, al reddito e alle condizioni individuali. L’identità del Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia è definita dal suo programma.

2. In Europa.

L’Europa unita e le sue istituzioni costituiscono una opportunità senza precedenti per l’Italia, così come per gli altri stati membri, e rappresenta una occasione di crescita ancora più rilevante per il Friuli Venezia Giulia che nel volgere di pochi anni ha smesso di essere regione marginale di uno stato nazionale per diventare un’area cruciale nel cuore dell’Europa. Il destino del Friuli Venezia Giulia, più di quello di altre regioni italiane, è indissolubilmente legato a quello dell’Europa e dell’integrazione di cittadini europei, famiglie europee, imprese europee nella comune casa delle istituzioni comunitarie. La collocazione geografica della regione e l’opzione del Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia in favore delle politiche di integrazione e di stabilizzazione sollecitano anzi l’allargamento dell’Unione europea a tutta l’area balcanica. L’obiettivo è convertire una porzione d’Europa per lungo tempo caratterizzata da conflitti e mancate occasioni di sviluppo in una parte dell’Europa unita con nuove opportunità di crescita civile ed economica. Il futuro del Friuli Venezia Giulia è tradizionalmente correlato a quello delle regioni italiane più prossime e, in modo crescente, nel corso degli ultimi venti anni, a quello delle aree che stanno oltre i confini nazionali; l’interdipendenza con le regioni finitime pone problemi nuovi e offre opportunità inedite che richiedono un ragguardevole sforzo di integrazione e di governo enfatizzati dalla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali attraverso confini che oggi sono scomparsi e solo qualche tempo fa erano impermeabili. Le istituzioni e, con un ruolo molto pronunciato pure la società civile, sono chiamate ad uno sforzo per accelerare e rendere più consistente il processo di integrazione tra regioni un tempo separate da confini di stato; quanto maggiore sarà tale impegno tanto più significative saranno per tutti le opportunità che deriveranno dalla appartenenza all’Europa unita. L’integrazione in chiave europea consente di guardare in modo nuovo alla stessa questione delle minoranze nazionali perché proprio in tale quadro ciascun cittadino, a prescindere dalla sua appartenenza ad una maggioranza o ad una minoranza nazionale, sarà sempre più portatore di diritti di cittadinanza che derivano dalle istituzioni dell’Europa unita anziché dallo stato nazionale. La collocazione europea del PD non può che essere dentro una nuova casa comune che raggruppi le forze progressiste concorrendo al rinnovamento di tale schieramento: si tratta di andare oltre la tradizione della socialdemocrazia allargando il campo dei progressisti di modo che includa forze socialiste, liberali, ambientaliste, laiche e cattoliche.

3. I giovani.

La questione delle giovani generazioni è centrale perché il futuro del Friuli Venezia Giulia, di tutta la comunità dei cittadini, delle famiglie e delle imprese, è correlato a quello dei ragazzi e delle ragazze di oggi. Per tale ragione è strategico assumere come riferimento la prospettiva di coloro che già ora hanno una attesa di vita superiore ai novant’anni, andranno in pensione dopo i sessantacinque, del posto di lavoro fisso per tutta la vita non hanno nemmeno la memoria, hanno convissuto da sempre con il fenomeno della globalizzazione, conoscono la storia del ‘900 soltanto attraverso i libri e uno su quattro è figlio di immigrati. La assunzione della prospettiva delle giovani generazioni anziché di quella della generazione precedente implica opzioni programmatiche strutturalmente diverse da quelle oggi prevalenti: la nuova prospettiva implica un nuovo patto tra generazioni in cui tutta la società regionale ridefinisce aspetti rilevanti del suo assetto in favore delle classi più giovani. Il nuovo secolo, anche in Friuli Venezia Giulia, non porta necessariamente più benessere e più uguaglianza per tutti; c’è anche nella nostra regione il problema di assicurare a tutti le medesime opportunità, pure di mobilità sociale, senza discriminazioni. La politica delle pari opportunità, anche tra uomo e donna, e della mobilità sociale si fonda in primo luogo sull’impegno delle istituzioni pubbliche in favore di una offerta educativa di alta qualità, accessibile ed universale: l’accesso all’offerta educativa e alla formazione continua è un diritto dell’individuo ed un investimento della comunità. La valorizzazione del merito individuale nello studio e nel lavoro è il secondo pilastro della politica delle pari opportunità e della mobilità sociale, la priorità al merito non è tuttavia così scontata perché implica la riduzione di nicchie corporative che sono presenti in tutti i settori della società e coinvolgono tanto l’elettorato di centrodestra che di centrosinistra. La valorizzazione del merito come criterio per la selezione della classe dirigente, a tutti i livelli e in ogni contesto, è inoltre un potente ed affidabile elemento di svecchiamento della rappresentanza in ogni ambito. Merito e cittadinanza attiva sono complementari, politiche di cittadinanza attiva vanno attuate accompagnando costantemente le persone. Suscita allarme il fatto che dagli anni novanta in poi il grado di mobilità sociale sia progressivamente calato invertendo la tendenza che negli anni sessanta e settanta si era affermata con l’aiuto della crescita economica nonché della scuola e dell’università di massa. Più in generale la scelta è consentire ed incentivare la possibilità che le giovani generazioni concludano un corso di studi di alta qualità, entrino nel mercato del lavoro, costituiscano una famiglia -secondo il modello preferito- non oltre il venticinquesimo anno di età. Si tratta di un programma ambizioso che prevede una inversione della presente tendenza e richiede forti politiche pubbliche in più settori. La politica delle giovani generazioni può e deve diventare un potente fattore di crescita economica e miglioramento sociale di tutta la comunità, a cominciare dalle persone anziane. Le politiche qui descritte, tendenti a dare maggiore sostegno culturale e migliori servizi alle famiglie, sono la premessa per dare corso anche ad una vera e propria strategia demografica con un tasso di natalità che avvii la crescita della popolazione e il suo ringiovanimento. La Regione Friuli Venezia Giulia, così come l’Italia postbellica, non ha mai avuto una politica demografica. E’ tempo che venga definita con obiettivi ed azioni.

4. L’interdipendenza come filo conduttore.

Crescita materiale, crescita civile e miglioramento ambientale sono interdipendenti. Diversamente da un tempo non ci può essere aumento della ricchezza materiale con un impoverimento culturale e spirituale dell’individuo oppure con il peggioramento dell’ambiente. Una credibile strategia di crescita economica deve essere fondata su politiche che valorizzano la ricchezza culturale, le competenze delle persone e il capitale intellettuale che nell’economia della conoscenza è sempre più importante. Tali politiche hanno inoltre lo scopo di migliorare in modo sensibile la condizione dell’ambiente in cui persone, imprese ed istituzioni operano. Per lungo tempo si è pensato, ed effettivamente è stato così, che vi fosse conflitto tra la scelta della crescita e quella della difesa ambientale. Oggi il conflitto non è più possibile per la semplice ragione che una cattiva condizione ambientale non respinge solo le persone ma anche le imprese. Un investimento è più redditizio se collocato in un ambiente positivo anche dal punto di vista naturale; è impossibile far vivere o lavorare persone in un ambiente compromesso. Crescita economica, crescita culturale, civile, spirituale delle persone e miglioramento dell’ambiente sono l’uno funzione dell’altro e sollecitano, ciascuno, politiche ugualmente interdipendenti

5. Più qualità sociale.

La Qualità sociale costituisce come si è già detto una precondizione della crescita economica, ossia, ben lungi dall’essere un gravame per la crescita materiale ne costituisce uno dei fattori essenziali. Offrire quindi a tutti le medesime opportunità di una educazione di alto livello, di formazione continua, di lunga vita in buona salute, di sicurezza sociale costituisce un potente fattore di sviluppo economico e di sostegno all’impiego. Non solo: più cresce l’economia più risorse si rendono disponibili per l’investimento nel welfare chiudendo così un circolo virtuoso. Elevati standard di coesione, sicurezza, integrazione sociale uniti ad una politica attenta al merito e alle pari opportunità tra gli individui rappresentano la coniugazione al livello più alto dei principi di uguaglianza, solidarietà e responsabilità personale. Cittadinanza e inclusione sono le leve di un nuovo civismo e di nuove opportunità per tutti nelle scelte formative e professionali così come nella dimensione sociale ed affettiva. La politica della qualità sociale è quindi tuttaltro che assistenzialismo. Il Friuli Venezia Giulia dispone di una organizzazione di welfare tra le più avanzate d’Italia e d’Europa, si tratta di un esito a cui il Partito Democratico ha dato un contributo essenziale. Sanità, educazione e una parte rilevante dell’intervento assistenziale non possono che essere sostenuti da un consistente intervento pubblico poiché il sistema pubblico universalistico è quello che ha ampiamente dimostrato di garantire maggiore appropriatezza, qualità, efficacia ed efficienza. Ciò non pregiudica l’apporto della componente privata e la diffusione di una vera sussidiarietà con il settore no profit e il volontariato. Gli obiettivi strategici da perseguire si possono così riassumere: sostenere la natalità, la famiglia e i servizi per la prima infanzia; contrastare gli effetti della precarietà e dare più opportunità ai giovani; potenziare il sistema delle cure a lungo termine e alla non autosufficienza: sostenere le famiglie nel lavoro di cura; spingere la ricerca applicata e di base; potenziare la prevenzione sociale e sanitaria non solo per migliorare l’aspettativa di vita ma anche come strumento di equità (meno incidenti sul lavoro, stili di vita più sani, malattie prima nelle aree più a rischio e più povere). Tutto deve poggiare su due solidi pilastri. L’uso attento, appropriato, lungimirante delle risorse e l’integrazione delle politiche sociali evitando la frammentazione degli interventi e l’esaltazione della responsabilità. L’obiettivo dei democratici è fare del Friuli Venezia Giulia una delle regioni europee con l’aspettativa di vita più lunga, con uno dei più alti livelli di conoscenza (anche nelle materie scientifiche), con un alto livello di assistenza alle persone e alle famiglie. Gli intenti qui indicati si perseguono non solo assumendo la famiglia come oggetto di azioni di sostegno ma anche favorendo la responsabilità e l’autonomia dell’organizzazione famigliare.

6. Più colti.

Il sapere e il saper fare, unitamente al saper essere inteso come senso civico, sono il principale strumento con cui il Friuli Venezia Giulia può competere negli anni a venire. Non si può mantenere o accrescere il benessere materiale senza essere più colti e capaci di far crescere un diffuso senso civico. Da questo intreccio deriva che il futuro della comunità regionale delle persone, delle famiglie e delle imprese dipende in larga misura dalla capacità di diventare davvero regione della conoscenza. La diffusione del sapere e del saper fare richiedono un intervento strutturato e permanente dello Stato, della Regione e degli enti locali per un sistema educativo autorevole che accompagni la formazione delle giovani generazioni e a cui si aggiunga un sistema efficace di formazione continua. La competenza linguistica è una delle sfide della strategia della regione della conoscenza poiché la più ampia diffusione della padronanza e della prassi del plurilinguismo -a cominciare dalle lingue maggiormente diffuse nel continente- rappresenta un rilevante vantaggio competitivo dal punto di vista della crescita materiale e costituisce inoltre un incisivo fattore di integrazione del Friuli Venezia Giulia nell’ambito delle comunità culturali e linguistiche dell’Euroregione e più in generale della nuova Europa. Un ampio grado di diffusione della conoscenza è infine il motore più affidabile della mobilità sociale, dell’uguaglianza e della politica delle pari opportunità. Per tutte le ragioni indicate l’educazione e la formazione debbono essere al centro dell’azione delle istituzioni pubbliche e non possono essere affidate alla logica del mercato. Anche in questo campo i risultati dipendono da una adeguata valorizzazione del merito sia sul versante degli utenti che degli operatori. La valorizzazione del merito degli operatori dell’educazione e della formazione implica la valutazione e la misurazione del loro lavoro. Come si è gia avuto modo di dire la elevata qualità dell’ambiente culturale costituisce un differenziale positivo per la costituzione di valore economico, di qui l’esigenza che una parte del dividendo della crescita materiale venga costantemente riversato in favore del menzionato ambiente culturale anche con riguardo allo sviluppo della creatività. Le istituzioni pubbliche e private, le stesse organizzazioni della società civile, sono chiamate ad una azione di stimolo delle produzioni regionali allo scopo di contrastare l’omologazione indotta dal mercati globalizzati e sostenere il pluralismo culturale. Il Friuli Venezia Giulia è già oggi una regione con istituzioni ed una comunità scientifica qualificate, si tratta di rafforzare ulteriormente tale profilo e migliorare la capacità di trasferire gli esiti della ricerca alle filiere produttive.

7. Più ricchi.

Il Friuli Venezia Giulia è una delle regioni europee con il prodotto interno lordo pro capite più alto, la disoccupazione ha raggiunto livelli particolarmente bassi e pure il tasso di attività è molto buono: i dati sono incoraggianti anche per quanto riguarda l’impiego femminile. L’obiettivo è mantenere e migliorare la condizione economica dei cittadini e delle imprese nel corso dei prossimi decenni definendo ora le condizioni materiali e immateriali affinché la regione continui ad essere una delle aree più affluenti del continente. L’attuale successo economico è il frutto di un lungo impegno che ha visto partecipi i lavoratori, le imprese e le istituzioni; lavoro ed impresa sono due pilastri essenziali dell’economia ma anche, positivamente, del modello sociale del Friuli Venezia Giulia. Gli elementi del binomio sono strettamente correlati e qui più che altrove il successo dell’uno è funzione del successo dell’altro. Le istituzioni dovranno continuare a svolgere un ruolo di supporto allo sviluppo abbandonando tuttavia gli interventi finalizzati al raggiungimento di obiettivi che il mercato può raggiungere autonomamente. L’intervento pubblico non deve eccedere quanto è strettamente necessario ad ottenere i risultati che il mercato dimostra di non saper conseguire. L’approccio meritocratico non è solo il più opportuno strumento di promozione delle persone, deve diventare ancora di più criterio di selezione delle imprese nel mercato e punto di riferimento nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione. Il futuro del Friuli Venezia Giulia va definito costruendo un sistema economico aperto e capace di misurarsi con il fenomeno della mondializzazione, le chiusure protezioniste o corporative offrono illusoriamente una rassicurazione momentanea ma già nel breve periodo sono controproducenti. Il sistema regionale ha in genere saputo rapportarsi utilmente con le innovazioni che in questi anni hanno tanto modificato l’economia mondiale , è per tale ragione che settori o aziende a suo tempo giudicati maturi continuano ad operare con successo. Si tratta di innovare con continuità ciò che c’è e affiancare all’esistente ulteriori attività innovative. Ciò vale per la manifattura, l’agricoltura e i servizi. Più in generale va affrontato il tema della produttività che non riguarda solo le aziende: si è già detto in termini generali della interdipendenza strutturale tra lavoro ed impresa, la relazione riguarda specificamente anche la produttività che dipende sicuramente dall’organizzazione delle imprese, a cominciare dal tasso di ricerca e di investimenti, ma anche dalla qualità e dall’organizzazione del lavoro nonché dalla quantità di sapere e di saper fare di cui ogni lavoratore è portatore. Il tema della produttività merita dunque di diventare una questione di grande rilievo su cui discutere diffusamente, contrattare e decidere con l’intento di migliorare la condizione dei cittadini, delle famiglie e delle imprese e in questo modo migliorare la collocazione del Friuli Venezia Giulia nella divisione internazionale del lavoro e nella classifica delle regioni più ricche del continente. La pubblica amministrazione, a tutti i livelli, può dare un apporto incisivo a far crescere la produttività. Non si tratta di ripercorrere la strada delle vecchie politiche che intervenivano direttamente in un ristretto numero di aziende con azioni scarsamente rispettose del mercato e di limitata efficacia nel tempo, l’intervento pubblico va indirizzato prioritariamente verso azioni esterne all’azienda con lo scopo di creare un ambiente macroeconomico che migliora la redditività di ogni euro di investimento privato effettuato dalle imprese. In questo modo vi è maggiore possibilità di offrire a tutti il vantaggio dell’azione pubblica, di essere più meritocratici nel rapporto tra pubblica amministrazione ed imprese perché più rispettosi del mercato, di aumentare la redditività generale dell’ambiente Friuli Venezia Giulia e di avere pertanto una maggiore attrattività per gli investimenti esterni. La elevata qualità dell’ambiente civile e culturale costituisce un differenziale positivo per la costituzione di valore economico, di qui l’esigenza che una parte del dividendo della crescita materiale venga costantemente riversato in favore del menzionato ambiente culturale e civile anche con riguardo allo sviluppo della creatività. La politica delle infrastrutture costituisce una delle leve più incisive per dare corso alla strategia che viene qui delineata: viabilità, porti, ferrovie, reti di produzione e di trasporto dell’energia, banda larga diffusa su tutto il territorio sono questioni dirimenti per la modernizzazione del Friuli Venezia Giulia e la crescita della produttività. Fra di esse assume un particolare valore, oggettivo e simbolico, la realizzazione della nuova ferrovia del Corridoio V poiché si tratta di un’opera in grado non solo di connettere l’Italia all’Europa ma anche di modificare in modo strutturale il modo del trasporto delle persone e delle merci. Il Corridoio V è anche una metafora della capacità di raccogliere la sfida della modernizzazione del Friuli Venezia Giulia e del Paese, è per questo che va dato seguito senza indugio alla realizzazione del progetto sulla base delle decisioni della programmazione comunitaria e nazionale nonché sulla base delle intese già definite dalla Regione con le amministrazioni comunali. La sfida del Corridoio V costituisce un banco di prova tanto per il centrodestra che per il centrosinistra. Le politiche fiscali, soprattutto se premiano il merito, sono un altro strumento incisivo per promuovere la crescita delle imprese. Sarà opportuno infine un corpo normativo, anche regionale, che valorizzi il principio e la prassi della responsabilità sociale dell’impresa.

8. Il lavoro.

Il lavoro è un riferimento fondante della politica del Partito Democratico, del resto la scelta di essere un partito popolare e di massa non può che implicare l’opzione di essere anche un partito del lavoro, di tutto il lavoro: dipendente ed autonomo. Il lavoro non è solo una merce che si scambia ma una essenziale espressione delle qualità umane nonché un elemento di costruzione sociale. In tutta Europa una parte estesa del lavoro si rivolge direttamente alla destra per ottenere rappresentanza politica, si modifica in questo modo un punto fermo della storia del ‘900 che in misura così diffusa ha portato all’identificazione dei concetti di lavoro e sinistra. In Francia le ultime presidenziali hanno visto una larga maggioranza dei dipendenti del settore privato sostenere il leader della destra Sarkozy mentre una maggioranza, a dire il vero più ristretta, del pubblico impiego ha sostenuto la candidata del Partito Socialista. Ciò significa che i lavoratori esposti alla frusta della competizione e della globalizzazione hanno preferito affidare il loro futuro alla destra mentre i dipendenti pubblici, non esposti al mercato, hanno scelto in prevalenza la sinistra. I dipendenti privati ritengono evidentemente che la destra tuteli meglio i loro interessi perché maggiormente capace di dare una prospettiva utile al binomio impresa/lavoro alle prese con le incertezze della competizione globale. La sinistra viene considerata invece come più efficace nel difendere i dipendenti della pubblica amministrazione confermando in tale modo che lo schieramento viene percepito come statalista e difensore di una porzione di società già di per sé più tutelata. Gli stessi insuccessi elettorali della SPD e il tracollo del Labour non possono che essere ricondotti ad un rapporto difficile con il lavoro. In Italia le recenti elezioni politiche confermano il quadro critico: gli operai sindacalizzati del nord votano in massa per il Popolo delle Libertà e la Lega Nord. Non c’è soltanto l’influenza della politica della destra che di fronte alle sfide inedite poste dalla globalizzazione alimenta le paure e, come reazione, modelli sociali ed individuali fondati sulla chiusura e l’egoismo. Si è costituito un vero e proprio denominatore comune tra gli interessi del lavoro e dell’impresa: la globalizzazione espone entrambi agli stessi rischi e lo Stato viene percepito in modo negativo da tutti e due, anche per ciò che riguarda i tributi e specificamente l’impatto delle imposte sul reddito. Non è un caso ad esempio che lavoro ed impresa chiedano la riduzione del carico tributario prioritariamente proprio sul lavoro. Il legame, anche di rappresentanza politica, con il lavoro va ricercato in primo luogo con proposte in materia di crescita economica e di impiego che dimostrino buona tenuta anche nel tempestoso mare della mondializzazione. Si pone dunque la questione della riduzione degli oneri che rendono così significativa la distanza tra retribuzioni lorde e nette così come la necessità di valorizzare in modo significativo il livello della contrattazione complementare al contratto nazionale di lavoro. Vi è l’esigenza di potenziare la contrattazione aziendale per correlare meglio retribuzioni e produttività, per valorizzare di più il merito e la professionalità ma anche per migliorare il potere d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie. E’ difficile che il contratto nazionale di lavoro possa tenere nella giusta considerazione i problemi di situazioni regionali tanto diverse e lontane; il Friuli Venezia Giulia ha davvero poco da condividere con la Calabria o la Lucania mentre ha una relazione quotidiana e strutturale con regioni economicamente molto forti che stanno appena oltre il confine di Stato, si tratta di un rapporto destinato a crescere e diventare sempre più importante man mano che l’integrazione europea si afferma. Lo scenario in cui agisce il sistema regionale delle imprese e del lavoro sollecita la valorizzazione della contrattazione aziendale, l’avvio di forme di integrazione più accentuata del mercato del lavoro e delle politiche di contrattazione a cavallo dei confini di Stato. Nello stesso tempo è opportuno che imprese e sindacati condividano buone pratiche su scala continentale con l’intento di stabilire il modo con cui affrontare problemi che pare inopportuno affidare alla regolazione pubblica e che d’altra parte la normale dialettica sindacati impresa non riesce a dirimere su scala nazionale. La sicurezza nei luoghi di lavoro e in itinere è diventata un tema cruciale che va affrontato con impegno sulla base di una diffusa consapevolezza che le scorciatoie demagogiche o draconiane non produrranno risultati apprezzabili: è invece urgente fare un esteso sforzo di formazione per far conoscere i rischi e prevenirli e pattuire uno scrupoloso rispetto delle norme e delle procedure da parte di imprese e lavoratori. Le politiche pubbliche possono e debbono svolgere una funzione importante per sostenere l’occupazione e migliorare la qualità dell’impiego, la legge regionale del “Buon lavoro” ne è un esempio, si tratta ora di proseguire per migliorare ulteriormente il tasso di attività soprattutto per l’impiego femminile.

9. Più qualità territoriale.

La qualità territoriale è una precondizione della crescita economica e della qualità sociale. Si è già detto del superamento del conflitto fra sviluppo e ambiente e anzi della necessità che una ulteriore fase di crescita materiale nasca da politiche di miglioramento ambientale; si tratta quindi di avviare politiche e comportamenti individuali e delle imprese che favoriscano il miglioramento della qualità del territorio, dell’acqua e dell’aria. E’ richiesta una politica delle istituzioni volta a contenere l’uso delle risorse naturali a cominciare dal suolo che va impiegato sulla base di una politica degli insediamenti attenta al riuso piuttosto che propensa a nuovi impieghi. Il territorio regionale è tradizionalmente di migliore qualità rispetto a quello di altre regioni italiane grazie ad un discreto lavoro di programmazione svolto negli anni passati dalla Regione stessa e dai comuni, non va tuttavia nascosto che più recentemente si sono affermate tendenze improntate ad un uso meno lungimirante del suolo e le aggressioni cominciano a mostrare il segno. I trasporti vanno organizzati privilegiando l’uso della nave e del treno dotando la regione di tutte le infrastrutture necessarie a sostenere il trasferimento modale piuttosto che cedere alla forza d’inerzia del trasporto su strada. Lo Stato, la Regione e gli enti locali possono svolgere una funzione determinante nel programmare, stimolare e realizzare azioni volte al risparmio di energia; non si tratta di rinunciare alla crescita, ma piuttosto di combattere il consumo improprio delle risorse e di ridurre l’assorbimento energetico per unità di servizio. Accanto al risparmio vanno varate azioni pubbliche molto forti per incentivare investimenti di famiglie ed imprese nel campo delle energie alternative, c’è un grande spazio di azione in questo campo, bisogna passare dagli intenti alle misure concrete. Aria e acqua del Friuli Venezia Giulia sono in genere di buona qualità e tali requisiti vanno migliorati con una politica di programmazione, di responsabilizzazione e di bonifica dei siti inquinati ereditati dai decenni scorsi. Accanto alle azioni delle istituzioni diventa essenziale promuovere una nuova stagione di responsabilità civica che coinvolga tanto gli individui che le comunità e le imprese. Non ci potrà essere un vero successo sul versante del miglioramento ambientale se non nascerà un nuovo civismo in base al quale ciascuno concorre all’obbiettivo di un ambiente più accogliente insieme allo sforzo di ogni persona, famiglia, impresa. Il caso più evidente è quello dei rifiuti urbani, non ci sarà riduzione della produzione ed efficace raccolta differenziata se non con una convinta e diffusa partecipazione. Lo sforzo del miglioramento ambientale riguarda anche le imprese per le quali vale in questo caso più che in altri il principio della responsabilità sociale.

10. Riformare la publica amministrazione.

La riforma della pubblica amministrazione rappresenta un banco di prova per i riformisti in tutta Europa e anche in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di riorganizzare gli apparati sulla base della nuova missione dell’intervento statale che è giustificato solo là dove il mercato e la società civile sono effettivamente inefficaci e nella misura strettamente necessaria. Cittadini ed imprese pongono la questione dei gravami burocratici e della semplificazione ma si tratta di una sfida più complessa: vi è certamente l’esigenza di procedimenti più semplici e meno numerosi ma vi è soprattutto la necessità di aumentare la produttività e ridurre la dimensione, quindi anche il costo, della pubblica amministrazione. Una recente indagine ha evidenziato che nella nostra regione la pubblica amministrazione ha un assetto tra i più consistenti d’Italia rendendo ancora più motivato l’obiettivo del dimagrimento. Il lavoro nel pubblico impiego non è esposto agli stimoli della concorrenza perché non opera in un contesto di mercato ma ciò non significa che debba essere estraneo alla necessità di essere misurato e valutato in quanto ad efficacia e produttività. Più in generale si tratta di ristrutturare l’organizzazione pubblica affinché sia meno autoreferenziale e possa contribuire maggiormente, come del resto avviene in altri paesi europei come la Francia, alla creazione della ricchezza regionale e alla promozione degli individui. La specialità statutaria del Friuli Venezia Giulia è tuttora un valore essenziale ai fini dello sviluppo economico, dell’integrazione europea e della coesione sociale. E’ opportuno che la Regione confini la sua attività alla funzione legislativa nonché al ruolo di programmazione ed alta amministrazione organizzando un processo di devoluzione in favore degli enti locali, anche di personale, con una accentuata valorizzazione dei comuni. Quest’ultimi vanno accompagnati in direzione di un processo di accorpamento che consenta di ridurne il numero e favorire la ristrutturazione all’insegna del principio di adeguatezza. La riforma della pubblica amministrazione deve costituire l’opportunità per affrontare una questione che viene diffusamente chiamata “costi della politica”. C’è la necessità che gli apparati politici strettamente intesi siano meno consistenti, siano meno autoreferenziali e abbiano un costo maggiormente rapportato ai risultati gestionali conseguiti. L’obiettivo può essere conseguito se si avvia con radicalità la riforma della macchina pubblica di cui si è qui delineata l’identità ed in particolar modo riducendo in modo sensibile la dimensione e il ruolo della pubblica amministrazione. La rete regionale delle utilities può svolgere una funzione rilevante superando la attuale frammentazione, evitando tuttavia di assumere profili monopolistici, finalizzando la propria missione non solo al profitto ma anche alla crescita complessiva del territorio e allo scopo di erogare ai cittadini servizi sempre più qualificati a prezzi socialmente sostenibili.

11. La società civile.

Una democrazia moderna in un paese avanzato e complesso non esaurisce la funzione della cittadinanza nel suffragio universale ma la implementa costantemente favorendo la responsabilizzazione dei cittadini, e delle loro aggregazioni, allo scopo di meglio conseguire grandi obiettivi comuni. La valorizzazione della società civile costituisce una opportunità di migliore responsabilizzazione dei cittadini e offre l’opportunità di devolvere loro funzioni di governo. Quanto più la società è complessa tanto più le istituzioni della democrazia rappresentativa possono essere utilmente supportate dalla società civile nell’affrontare problemi la cui soluzione richiede partecipazione attiva di molti. La società civile non è di per sé né migliore né peggiore di coloro che svolgono la funzione democratica della rappresentanza nelle istituzioni perché anche in questo caso vale il principio dell’interdipendenza: società civile e rappresentanza politica sono vicendevolmente l’una il frutto dell’altra. E’ la complessità sociale, e il conseguente maggiore bisogno di responsabilizzazione di ciascun individuo, a rendere necessaria la politica dell’empowerment. Dal canto suo la società civile, proprio per il crescente rilievo che essa stessa assume, deve essere consapevole che la scelta della direttrice di marcia della società, cioè la funzione del governointesa in senso ampio, non risiede esclusivamente in capo alle istituzioni rappresentative ma anche, appunto, in capo alla società civile.

12. La questione settentrionale.

La questione settentrionale è stata spesso descritta come una serie di pulsioni territoriali che rivendicano infrastrutture, rifiutano per principio il volto fiscale dello Stato, esprimono modelli culturali fondati su un individualismo esasperato che sconfina spesso nell’egoismo e persino nel rifiuto della solidarietà che deriva dai doveri della comune cittadinanza italiana. Oggi il problema viene esaminato con una qualche maggiore consapevolezza ma, è bene dirlo apertamente, è ben lungi dal ricevere risposte convincenti perché la questione settentrionale, al pari di quella meridionale che costituisce l’altra faccia dello stesso grande problema nazionale, è semplicemente una grande questione italiana alimentata dai nodi strutturali ed irrisolti che paralizzano l’intero Paese da lungo tempo. Si addebita tradizionalmente al centrosinistra la colpa di non sapere comprendere il nord ma a ben vedere nemmeno il centrodestra, che dopo la scesa in campo di Berlusconi ha governato a lungo quanto il centrosinistra, ha saputo affrontare quei nodi strutturali. La questione settentrionale è tutta lì nonostante i governi di centrodestra. Il Regno Unito ha conosciuto una fase di declino simile a quella presente oggi nel nostro paese e negli anni ottanta la politica di Margaret Tatcher ha introdotto cambiamenti radicali che hanno sovvertito aspetti tradizionali e fondanti della società britannica; i grandi mutamenti del tatcherismo, ancorché spesso socialmente iniqui, hanno rimesso in moto la nazione. In Italia la destra è incapace di una vera politica di cambiamento e di modernizzazione risultando pertanto inefficace anche ai fini della questione settentrionale: del resto Berlusconi non è la Tatcher. Il nord è la parte più ricca del paese, è anche la più esposta alla frusta della competizione globale perché è di gran lunga la porzione maggiormente caratterizzata da una economia di mercato; è una grande regione europea che più di ogni altra parte d’Italia sente come indissolubile il suo legame con l’Europa perché più di ogni altra area italiana non può prescindere da una integrazione ancora più forte con il mercato continentale. Il nord -l’industriale, l’artigiano, l’operaio- percepisce parimenti che i grandi nodi irrisolti del Paese mettono a rischio la propria collocazione nel contesto continentale e mondiale allontanando il settentrione dalle comunità nazionali più avanzate: il risentimento del nord, perché di vero e proprio risentimento si tratta, nasce dalla sfiducia nella possibilità di risolvere i problemi strutturali dell’Italia e nel contempo dal rifiuto a rassegnarsi al declino. I Democratici debbono partire proprio da quel rifiuto della rassegnazione che costituisce un valore, morale in primo luogo, da mettere a profitto in favore di tutti gli italiani e debbono rispondere al sollecito del settentrione con una politica nazionale caratterizzata da molto più riformismo. Guai ad immiserire la questione settentrionale riducendola ad una banale vicenda di infrastrutture per quanto importanti esse siano. Il nord chiede molto di più che strade e ferrovie, chiede cioè quei cambiamenti della società italiana che liberino le energie degli individui e delle imprese consentendo loro di misurarsi paritariamente con gli individui e le imprese della Baviera e del Baden. Il momento di massima popolarità del centrosinistra si ebbe in occasione dell’entrata dell’Italia nell’Euro eppure per ottenere lo scopo Prodi e Visco applicarono addirittura una imposta una tantum di nuova creazione, la tassa per l’Europa. Gli italiani compresero, anche in Padania, che si trattava di un grande sforzo collettivo per rimanere agganciati a ciò che sta oltre le Alpi ed apprezzarono. L’ingresso nell’Euro fu anche il motivo di una fase di riflusso della Lega Nord. Servono dunque grandi riforme per migliorare il paese ma la modernizzazione sarà utile anche per restringere l’influenza elettorale della Lega. Il settentrione può contribuire in modo essenziale al rinnovamento dell’Italia e non solo per la forza della sua economia: è infatti diffuso un grande patrimonio di civismo che si riscontra nei comportamenti individuali così come nella storia di consolidate e positive prassi amministrative di cui la comunista Bologna, la socialista Milano e la cattolica Brescia sono esempi. Il volontariato è molto diffuso e costituisce il pilastro imprescindibile di una sussidiarietà che è reale ed efficace. Il Friuli Venezia Giulia e il Veneto sono in testa alle classifiche nazionali per la donazione del sangue e degli organi manifestando una realtà di volontariato e di solidarietà lontana dagli stereotipi che identificano il nord con l’egoismo individuale. La stessa propensione, molto diffusa, a risolvere da sé il problema dell’impiego per mezzo del lavoro autonomo e dell’imprenditoria costituisce un valore da riconoscere e mettere a frutto. Non si rappresenta il nord né si affronta la questione settentrionale se non partendo dai valori positivi di cui il settentrione è portatore. I nodi strutturali ed irrisolti del sistema Italia, quelli che costituiscono la storica questione meridionale e anche il più recente problema del settentrione, sono l’eccesso ormai insopportabile di corporativismo e di protezionismo a cui si somma sempre più il peso di un localismo capace di svolgere una vera e propria funzione di interdizione dei processi di modernizzazione. Nessun settore della società è immune da corporativismo e protezionismo tant’è che il sistema italiano dei servizi pubblici è largamente meno efficiente della media europea proprio per un ventaglio di ostilità verso ogni cambiamento e lo stesso dicasi per la riforma delle professioni. Il costo per il Paese è consistente. Il fenomeno qui descritto in sintesi è più presente nel meridione che al nord e proprio per tale ragione i solleciti al cambiamento che vengono dal settentrione –così come il rifiuto della rassegnazione di cui si è già detto- possono essere utili all’intero Paese. A ciò si somma un assetto dello Stato troppo debole per ciò che attiene la garanzia di una convivenza civile di qualità, delle pari opportunità tra gli individui, l’allestimento dei fattori esterni alle imprese propedeutici alla crescita economica e al contrario debordante per ciò che riguarda l’intrusione nella sfera dei processi economici di mercato entro i quali cittadini ed imprese chiedono di poter essere liberati dall’invadenza della pubblica amministrazione allo scopo di poter meglio competere con Baviera e Baden. Come è evidente non si tratta soltanto di dare corso ad una semplice azione, pur utile, di sburocratizzazione con la quale semplificare la vita a cittadini ed imprese, urge un vero e proprio mutamento della funzione dello Stato e quindi del suo rapporto con larga parte della società italiana. Mentre Margaret Tatcher sovvertiva la società britannica ricorrendo a volte a misure brutali e fondate su un marcato classismo il pentapartito alla guida dell’Italia rinunciava ad ogni prospettiva di modernizzazione narcotizzando il declino con l’esplosione del debito pubblico. I Democratici possono avere un rapporto positivo con il nord fondando la loro proposta politica sulla valorizzazione del merito, del civismo e della responsabilità, sulla lotta contro la rassegnazione al declino, sul contrasto ad ogni forma di corporativismo e protezionismo, su una funzione meno invadente dello Stato di modo tale che questi intervenga solo dove la libera azione di cittadini ed imprese non sia sufficiente alla soluzione di un problema e nella misura strettamente necessaria. Va riconosciuto in modo esplicito che la questione fiscale esiste ossia che il livello di pressione tributaria è eccessivo e costituisce un peso il più delle volte troppo gravoso per cittadini, famiglie ed imprese. La constatazione ovvia che il debito pubblico va pagato e che il vigente livello della tassazione è un doloroso stato di necessità non può tradursi nella asserzione, spesso identificata tout court con il centrosinistra, che il presente grado di pressione tributaria sia desiderabile e compatibile con una società aperta, con un’economia esposta alla competizione e non dipendente dalla spesa pubblica. Del resto già molto tempo fa l’insospettabile Giorgio Fuà titolava “Troppe tasse sui redditi” [1985] un suo fortunato pamphlet. La questione settentrionale si affronta insomma assumendo come programma la prospettiva della liberazione di cittadini ed imprese da una azione sbagliata e spesso debordante dello Stato nel quadro di una modernizzazione generale del Paese in cui è presente anche la nota questione delle infrastrutture. Sta ai Democratici assumere questo programma intrecciandolo con una politica di forte coesione sociale, uguaglianza, pari opportunità, inclusione, diritti di cittadinanza diversamente da quanto fatto dalla signora Tatcher. I problemi sono gli stessi al nord e al sud, anzi al sud sono persino più accentuati, ma il meridione li percepisce in misura minore perché quell’economia sente un minore bisogno di modernizzazione in quanto meno esposta alla competizione internazionale e perché quella società nel suo complesso è maggiormente dipendente dalla spesa pubblica. La doppia narcosi del sud attenua la percezione del problema ma non lo cancella con la conseguenza che affrontare la questione settentrionale implica riforme utili anche al resto d’Italia. Non va sottaciuto infine che affrontare la questione settentrionale, e quella meridionale, nei termini qui delineati implica la ridefinizione del patto che tiene insieme gli italiani nello stato unitario. Il federalismo non è una clava da usare contro una parte del paese ma la valorizzazione dei principi di responsabilità e di merito che vanno coniugati con quello delle pari opportunità per mezzo del criterio della solidarietà nazionale: in altri termini il federalismo solidale.

13. L’immigrazione.

Le migrazioni sono uno dei problemi più acuti dei nostri tempi. Le aree geografiche oggi corrispondenti a quelle dei paesi più sviluppati tornano ad essere interessate alle immigrazioni dopo aver smesso di esserlo per fasi storiche più o meno lunghe e i nativi percepiscono in modo traumatico il fenomeno. Si dice e si percepisce che le migrazioni siano il frutto della globalizzazione. E’ effettivamente così, il miraggio del nostro benessere rimbalzato ovunque dalla televisione e la povertà, in tanti casi crescente, di grandi regioni del mondo spinge masse di diseredati a cercare sicurezza o semplicemente alimentazione nei paesi più ricchi. In alcuni casi la globalizzazione non è il mero strumento che permette le migrazioni ma addirittura la causa che le scatena avendo indotto l’impoverimento ulteriore di aree già deprivate. A ben vedere le migrazioni sono vecchie quanto l’uomo e la storia ci dice che sono sempre state traumatiche anche quando sono avvenute in un contesto non violento, l’esperienza dice anche che l’integrazione tra nativi ed immigrati ha richiesto tempi molto lunghi e che in alcuni casi non è mai avvenuta nonostante i secoli. Oggi tutti i paesi sviluppati sono interessati dal fenomeno e nessuno può dire di avere trovato <<La>> soluzione del problema, di paese in paese siamo piuttosto in presenza di politiche pubbliche e di comportamenti sociali diffusi che palesano un differente grado di successo, in alcuni casi siamo in presenza di veri e propri fallimenti. I Democratici sono chiamati a decidere una propria strategia in materia di immigrazione e con essa a concorrere alla definizione delle politiche italiane per governare il fenomeno. Governare è la parola chiave; è evidente che la mancanza di una forte azione di governo, a tutti i livelli istituzionali ma pure della società civile, produce conflitti. Guidare il fenomeno e costruire l’integrazione richiede in primo luogo l’abbandono degli opposti approcci ideologici in base ai quali l’immigrazione è di per sé positiva o negativa, l’opzione manichea è frutto del pregiudizio e nega la possibilità e l’utilità dell’integrazione. In Italia il problema dell’immigrazione è diventato acuto e si manifesta in modo contraddittorio: da un lato gli immigrati sono diventati essenziali per larghi settori dell’economia e svolgono una insostituibile funzione di ausilio in una gran quantità di famiglie, dall’altro sono oggetto di un esteso rifiuto sociale che a volte sconfina nel razzismo, nella xenofobia e persino nella violenza. La questione ha profondamente influenzato le elezioni politiche e regionali del 2008 spostando molti consensi in direzione della destra sulla base della cosiddetta questione della sicurezza; si dice sicurezza ma in realtà ci si riferisce in sé e per sé all’immigrazione, sicurezza è soltanto l’immagine riflessa di un fenomeno inedito che suscita grande apprensione. Le evidenze confermano che oggi gli italiani non sono meno sicuri di dieci anni fa. A ben vedere larghi strati di cittadinanza, spesso inconsapevolmente, pongono un altro problema chiedendo all’establishment e quindi anche al Partito Democratico di sapere dove stia andando la società italiana, come sarà la vita, la convivenza -anche religiosa- in una società multietnica e multiconfessionale e chiedono garanzie: in primis il mantenimento del contratto sociale che ora lega gli italiani e le italiane in un quadro di libertà, tolleranza, uguaglianza, legalità. La destra ha risposto a tale domanda con l’opzione più semplice -demagogia e rifiuto dell’immigrato- che è anche la più ingannevole perché non risolve il problema e anzi lo esaspera. Il centrosinistra ha scelto giustamente la politica dell’integrazione ma i fatti confermano che non è stato convincente sul terreno del governo del fenomeno immigrazione e soprattutto non ha detto quali siano gli elementi con cui connotare la parola integrazione. Integrazione è la parola che fa la differenza tra i Democratici e la destra ma rischia di essere una espressione priva di significato se non le vengono attribuiti con trasparenza dei contenuti fondativi. L’integrazione si può teoricamente fare anche sulla base di principi di vita e convivenza che sono lontani da quelli prevalenti ed anche istintivamente accettati in una democrazia liberale, ma questa è una prospettiva non condivisibile che peraltro suscita proprio quell’inquietudine di cui si alimenta la destra. L’integrazione non può che fondarsi su principi non negoziabili, condivisi e riconosciuti che i nativi considerano acquisiti anche istintivamente: democrazia, libertà, uguaglianza -anche tra uomo e donna-, rispetto sacrale della persona umana, laicità dello Stato, tolleranza, legalità. Il primo requisito per il successo della politica dell’integrazione, ovvero per la sua accettazione diffusa, è la dichiarazione esplicita dei contenuti fondativi allo scopo di indicare con trasparenza quale sia l’assetto della società multietnica e multireligiosa. Il secondo requisito è una autorevole azione di governo che renda effettiva e credibile la scelta dell’integrazione chiamando ad impegni stringenti nativi ed allogeni. In tale quadro la scuola è chiamata ad una funzione esiziale evitando tuttavia che scatti un meccanismo per il quale la fatica dell’integrazione viene scaricata sulle istituzioni scolastiche. E’ necessario invece che tutte le risorse istituzionali e della società civile concorrano allo scopo. La scuola dal canto suo, agendo con il sostegno degli enti locali, è chiamata a contribuire all’integrazione in primo luogo offrendo agli immigrati gli strumenti per la padronanza dell’italiano parlato e scritto. La conoscenza dell’italiano è la premessa per l’integrazione e gli immigrati sono chiamati a contribuire al processo assumendo l’impegno della padronanza della lingua dei nativi. La scelta della strategia dell’integrazione richiede azioni inclusive che implicano anche per gli immigrati la presenza di diritti e di doveri. La sfida del governo riguarda tutti i livelli istituzionali ma concerne anche la società civile, del resto l’obiettivo e così arduo da richiedere la partecipazione più ampia. L’integrazione è un cammino molto lungo, vanno messi in conto insuccessi ma non ha alternative; la destra che respinge il programma dell’integrazione perché rigetta l’idea della contaminazione si autoimpedisce di governare la convivenza tra etnie, culture e nazionalità diverse e pertanto rende un pessimo servizio ai nativi ai quali non resta che destreggiarsi come possono sulla base di soluzioni individuali. Ci sarà integrazione solo se l’immigrazione sarà sostenibile. Quando la quantità di immigrazione è eccessiva, in alcuni territori del Friuli Venezia Giulia ha raggiunto livelli ragguardevoli, il processo di integrazione è compromesso perché i nativi tendono a respingerlo e gli immigrati sono spinti all’opzione di non condividere nulla con gli indigeni se non il mero uso del territorio. E’ davvero uno scenario pericoloso che ripropone la logica dell’Apartheid e costruisce le premesse del conflitto. L’idea di immigrazione sostenibile implica la necessità di non superare il tasso di immigrazione che pregiudica l’integrazione. La destra enfatizza il tema della sicurezza che non è il problema ma soltanto la sua immagine riflessa, sta ai Democratici indicare nell’immigrazione il vero problema ed agire per governarlo.

14. Il radicamento del PD.

Il Partito Democratico del Friuli Venezia Giulia è una forza popolare, di massa e di ispirazione maggioritaria che definisce la sua identità con il programma. Il programma è il principale strumento per il radicamento nella società e per la più estesa rappresentatività nelle sedi istituzionali. Il radicamento è perseguito anche per mezzo di una organizzazione di circoli diffusi capillarmente su tutto il territorio e alla cui vita gli iscritti partecipano attivamente con la facoltà di concorrere alla definizione della linea politica, degli organi dirigenti e delle rappresentanze elettive.

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