13 Febbraio 2022

Porzûs: partigiani uccisi sono nostra eredità morale

ROJC: VENTI DI GUERRA, EUROPA NON VOLGA LO SGUARDO / SHAURLI: MONITO PER PACE E DEMOCRAZIA

   Vi sono luoghi ai quali ci si avvicina con profondo rispetto, per chi crede, pregando. Come durante un pellegrinaggio. Vi sono memorie nei confronti delle quali ci si pone domande. Vi sono vittime che ci pongono delle domande a cui noi, umani, sopravvissuti, non sapremo mai rispondere. Vi sono ferite senza tempo, sulle quali bisogna riflettere. Tutto questo e molto altro ancora richiama il nome di Porzus. Una tragedia del Dopoguerra, quando la liberazione si tramutò in vendetta. Quando i reduci dai campi di sterminio tornavano a casa e cadevano in ginocchio per baciare la terra natia. Quando i canti riempivano paesi e città. Quando le ceneri dei morti urlavano ai vivi che erano liberi, finalmente. Quando sembrava fosse sorto il sole, come ebbe a dire don Emilio de Roja.

“Quanto sia il dolore di mia madre, mio, e di tutti questi fratelli e parenti non mi sento ora di esprimere. Certo è una realtà troppo grande, questa di saperli morti, per essere contenuta nei nostri cuori di uomini…Ma noi alla società non chiediamo lacrime, chiediamo giustizia. ”Sono parole di un fratello, di tutti i fratelli, per questi morti, sono parole di Pier Paolo Pasolini.“Ti potevi salvare, ma tu sei tornato lassù, camminando…Ti potevi salvare, ma tu non hai lasciato soli i tuoi compagni a morire”.

Queste sono parole che definiscono tutti i morti della malga di Porzus e segnano profondamente chi le ha lette. Perché vanno lette, rilette, rilette ancora col rispetto di noi, generazione nata dopo la guerra, noi inermi, increduli, che ancora non riusciamo a capire. Se non attraverso una riflessione profonda su un secolo, quello passato, tra le epoche più indiscussamente complesse della storia dell’uomo, un secolo diabolicamente orgoglioso persino del suo male, del male assoluto, in cui la vita o l’uomo hanno dovuto sottomettersi alla Wille zur Macht, alla sete di potere, al sistema totalitario, alla volontà distruttiva di dominare. Tutto qui a Porzus parla di quelle morti. Di quella morte. Porzus è per se stesso un monumento a questi uomini che hanno pagato con la vita l’anelito di giustizia e libertà. Monumento che condividiamo con tutto il Paese. Con questa nostra terra così martoriata e così splendida nel contempo, con chi ha combattuto, con chi verrà nel futuro. Con la verità.

Abbiamo imparato molto da un abbraccio di Porzus. Da chi ha chiesto perdono. Ma soprattutto abbiamo imparato tutto da chi ha perdonato.Fu don Emilio de Roja, che aveva aderito da protagonista alla Resistenza e aveva contribuito a salvare vite umane, nel suo pensiero profondamente cristiano della fede, della speranza, della carità, a dire: ”Costruire sempre senza lasciarsi determinare dagli errori, dai limiti e dalle colpe.” Ed è questo il senso di tante tragedie, l’unico senso di questa tragedia, di cui si deve parlare, su cui è nostro dovere riflettere. La nostra storia repubblicana si fonda sui valori della Resistenza, è figlia della Resistenza. Vorrei ricordare le parole del presidente Napolitano, quando ebbe a dire: “Il valore storico della Resistenza nessuno potrà cancellarlo o oscurarlo, ma, accanto alle pagine luminosissime … ci sono state anche pagine buie, come – appunto – eccidio di Porzus, e non bisogna dimenticare e rimuovere nemmeno quelle, per trarre tutti gli insegnamenti necessari dalla grande esperienza del movimento di liberazione dal nazifascismo.”

 E oggi, a oltre trent’anni dalla caduta del muro di Berlino, siamo riuniti in questo luogo per ricordare e per costruire. Il nostro futuro, il futuro delle nostre terre, profondamente ferite, il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti, nella condivisione di un destino, nella sua costruzione. Perché gli uomini, annientati quel giorno di quell’anno in questo luogo, hanno combattuto per la libertà e per la giustizia. E rappresentano una parte della nostra eredità morale. In questi giorni stanno soffiando gravi venti di guerra non lontano da noi. In questi giorni ci sono genti terrorizzate di non avere un futuro. In questo tempo ci sono disperati che ci chiedono di aiutarli. L’Italia, l’Europa tutta ha il dovere di non volgere lo sguardo altrove. Anche un battito d’ali , mi disse un poeta resiano, cambia, e in tal senso per sempre, il corso dell’universo. Perciò ognuno di noi deve farsi carico di ciò che questi uomini, caduti ingiustamente, hanno sognato. Don Emilio de Roja che oggi stiamo ricordando, con la sua vita e la sua opera, ne ha colto il senso più profondo.

Voglio citare quello che i Presidenti Mattarella e Pahor definiscono uno dei ricordi più emozionanti del loro percorso politico, le loro mani congiunte in due luoghi della travagliata memoria delle nostre terre. Non vi furono parole, ma silenzio. E in quel silenzio un sole di speranza che ci ha fatto volgere lo sguardo al cielo per ringraziare. Oggi a Porzus chiniamo ancora il capo in segno di profondo rispetto e con la promessa di costruire. Insieme.

Shaurli: monito per pace e democrazia

“L’eccidio che ha inciso tragicamente la storia di questa terra sia oggi monito ed impegno per superare divisioni e difendere pace e democrazia. Più della vittoria su ideologie e totalitarismi o sulla violenza che trasfigura gli uomini, a Porzus celebriamo la vittoria della pace sull’odio. La corona che unisce Apo e ANPI è il simbolo di una condivisione del dolore e del rispetto reciproco. Uno dei peggiori capitoli della storia del confine orientale si riscatta perché alla fine hanno vinto non questi o quelli, ma perché i valori universali della tolleranza, della libertà, della democrazia sono penetrati nei cuori dei sopravvissuti e di chi ha raccolto la loro testimonianza. Non ci faremo trascinare da chi indulge a rievocare il male per fomentare divisioni o trova senso di esistere in confini che non esistono più”. È la riflessione del segretario Pd Fvg Cristiano Shaurli oggi alle cerimonie per il 77/mo anniversario dell’eccidio di Porzus.

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