8 Novembre 2008

Assemblea regionale Pd – la relazione del Segretario

ASSEMBLEA REGIONALE
PARTITO DEMOCRATICO FRIULI VENEZIA GIULIA
Pasian di Prato
8 novembre 2008
RELAZIONE DEL SEGRETARIO REGIONALE
BRUNO ZVECH
Si era diffusa, anche tra noi, la dolorosa convinzione che l’orizzonte politico fosse strutturalmente stabile, segnato dalla forza dei numeri che hanno portato la destra al governo del Paese e, con accenti diversi, della nostra Regione.
Da qui la percezione di un progressivo impoverimento degli spazi di partecipazione democratica, di elaborazione di una credibile alternativa, sull’onda di quella capacità di decidere, vero o presunta che fosse, attribuita al premier e alla sua maggioranza e che generava un consenso impermeabile anche alla grave ed inedita crisi economica che stiamo attraversando. Una crisi che, a differenza di quanto sosteneva il Presidente del Consiglio, non si è limitata a sparigliare drammaticamente il gioco delle borse mondiali, ma sta aggredendo il sistema delle imprese ed impoverendo le famiglie con scricchiolii significativi anche in Friuli Venezia Giulia.
Siamo consapevoli che quei numeri saranno la cifra politica del Parlamento e del Consiglio regionale per i prossimi quattro anni e mezzo e commetteremmo un clamoroso errore se scommettessimo su scorciatoie rispetto al lavoro faticoso che ci attende.
Sono accaduti però fatti nuovi e straordinari, sia in campo internazionale che nazionale, sui quali vi propongo di riflettere senza provincialismi, semplificazioni e meccanicismi.
La travolgente vittoria di Barack Obama rappresenta non solo la vitalità sorprendente della democrazia americana, la capacità di quel Paese di produrre un’innovazione politica, quindi sociale ed economica che lo colloca decenni avanti rispetto il vecchio continente, certificando quasi plasticamente che un altro ordine mondiale è possibile.
C’è molto di più, infatti se non esistono effetti meccanicistici, una sorta di effetto domino in Europa e nel nostro Paese (sarebbe ridicolo dire che “abbiamo vinto”, così come è penoso il tentativo di una parte della destra italiana – quella che prima di avere un’idea guarda i sondaggi – di impossessarsi di Obama) è indubbio che dopo il 4 novembre spira un altro vento, si è incrinato cioè quell’ immobilismo conformista che ci opprimeva e ora appare molto meno egemone in prospettiva la proposta politica della destra.
Da questo punto di vista la stessa grandiosa manifestazione del 25 ottobre assume una diversa e più ampia dimensione, un profilo lungo che intercetta aspettative che possono, se ne saremo all’altezza, diventare nel tempo maggioranza politica e sostenere una alternativa autentica di governo.
In un mondo che non ha più “i confini” come li abbiamo conosciuti (degli stati, delle economie, della divisione del lavoro, della strutturazione sociale…), confini che, come la convenzionale grandezza delle nazioni, erano stati certificati dall’occidente- con differente intensità tra ‘800 e ‘900 da americani ed europei –l’irrompere delle cosiddette “economie emergenti” sullo scenario mondiale, sostenute da un saldo demografico impetuoso appena ora destinato a rallentare, ci riporta al nostro essere minoranza, come occidentali, con tutte le variabili materiali che ciò comporta e che sempre più, nei prossimi anni, verranno percepite.
“Culture lunghe” sostengono questo exploit economico e sociale, ricco di contraddizioni, culture che manifestano un rapporto diverso circa i temi della vita e della morte, i modi di produzione, le relazioni sociali, i rapporti con le istituzioni, con un mix identitario che sfugge alle nostre tradizionali analisi.
Mutamenti grandiosi e paure conseguenti per cui in ogni piega della società occidentale, dove c’è più ricchezza da difendere, si alimenta uno stato d’ansia, una angoscia indefinita, diversa dal passato perché arriva da ogni parte e incombe sul futuro.
Penso che qui stia la chiave della vittoria di Barack Obama: prima di Mc Cain, il vero avversario da sconfiggere era la paura, questa nuova e più aggressiva forma di paura che in America Obama ha sconfitto, se ci pensate questo dato è stato riconosciuto con grande onestà intellettuale dallo stesso Mc Cain. E’ un grande insegnamento, una direzione di marcia vincente che ci consegna al contempo una grande responsabilità verso il nostro Paese, in fondo il tema portante della manifestazione del 25 ottobre era proprio questo.
Zigmund Bauman nel saggio “La Paura liquida”, parla di una sorta di paura ambientale, proprio quella alimentata e cavalcata qui da noi dalla destra: vera o percepita, spontanea o provocata, motivata o isterica, rappresenta uno strumento di misurazione della realtà, una leva di consenso elettorale, politico e religioso. Da questo punto di vista lo slogan più bello presente nelle straordinarie manifestazioni studentesche di queste settimana è stato, a mio avviso, “io non ho paura”, proprio perché lo stesso CENSIS in un importante e documentato seminario individua le dinamiche quotidiane che segnano il nostro tempo e ne determinano una continua ristrutturazione che non procede univocamente: diminuzione del livello di sicurezza sociale, perdita di solidarietà e rispetto tra la gente, aumento della violenza (non solo fisica), difficoltà di sviluppo e crescita del paese, informazione omologata e ansiogena nei grandi numeri, mutamenti tanto repentini da impedire la progettazione del futuro, progresso scientifico che espone a rischi personali e ambientali, flussi migratori clandestini… . Ho elencato queste variabili secondo la classificazione di incidenza rilevata dallo stesso CENSIS. Se riflettiamo bene rappresentano la scaletta di una conferenza di programma in ordine alla quale è indispensabile esercitare fino in fondo un tasso elevato di riformismo.
Del resto lo stato moderno basa il suo diritto a governare e ad esigere il rispetto delle regole da parte dei cittadini facendo leva sui servizi che offre contro ogni minaccia al loro benessere.
Per buona parte della storia moderna le incognite generanti ansia erano legate al mercato occupazionale: il rischio di rimanere disoccupati perdendo il proprio ruolo nella società, di cadere nell’indigenza, di rimanere senza cure in vecchiaia, di non poter crescere i propri figli.
Oggi non è più così, e a fronte dell’ampliarsi dei fattori d’ansia gli Stati sembrano lasciare sempre più ai singoli la responsabilità di costruirsi una vita decente, con un lento e costante smantellamento dello stato sociale, sottraendo così la tradizionale legittimazione dello Stato e quindi alle rappresentanze politiche.
Questo è stato il segno degli otto anni di Presidenza Bush, questo ha proposto nei fatti la destra italiana – in modo ancora più marcato che nel resto d’Europa – e lo ha fatto trasportando la promessa di protezione dall’area della sicurezza sociale a quella dell’incolumità personale (microcriminalità, cibi adulterati, immigrazione clandestina… cose non necessariamente immaginarie, ma non determinanti).
Ricostruire le speranze, organizzarle, dar loro uno sbocco politico di governo, rifondare il patto di cittadinanza… Il PD nasce per questo e il 25 ottobre era in piazza per questo.
Se abbiamo perso severamente le elezioni, nel contesto che ho brevemente descritto, non sono venute meno le ragioni della nascita del PD, anzi queste si rafforzano e l’aver sovrapposto meccanicamente le due questioni ha prodotto lo strabismo del dibattito estivo, con una analisi palesemente piegata a logiche di posizionamento interno.
Abbiamo bisogno di discussioni senza retropensieri, senza autocensure, per raccogliere le sfide che conosciamo: energia, deindustrializzazione, materie prime,. livelli fondamentali di welfare, talento e merito come discrimine nella strutturazione sociale, rapporto tempo/lavoro…
La paura può paralizzare, è vero, ma può anche spingere prepotentemente all’azione e qui stanno le ragioni di un partito riformista che, senza rimpiangere la pervasività dell’intervento dello Stato – come paradossalmente riproposto oggi dalla destra incapace di affrontare con strumenti nuovi la crisi – dia vita ad un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, una nuova proposta che affermi la coesione sociale come strumento di sviluppo e crescita per tutti.
Da questo punto di vista, la destra popolare e il vasto blocco sociale che l’ha sostenuta ha assunto la “semplificazione” come strumento per una nuova edizione della lotta di classe che porta inevitabilmente i più deboli, i più esposti a pagare il prezzo più duro della crisi.
Leggo così l’attacco a scuola e università pubbliche, l’abbandono di un coerente controllo dei prezzi, la mancata difesa di salari e pensioni, il non intervento sui temi fiscali, di converso così leggo anche la forza dei movimenti che su questi temi vanno costruendosi e rafforzandosi e per i quali il PD deve essere un riferimento naturale.
E così interpreto il fastidio per il ruolo e le manifestazioni dell’opposizione viste come ostacoli fastidiosi piuttosto che come esercizio di democrazia e il fatto che le diffuse ed affollatissime manifestazioni di studenti, docenti e genitori vengano derubricate come opera di fannulloni facinorosi.
In questa visione “sbrigativa” della politica assunta dal governo, pedagogia, psicologia, sociologia e via dicendo, non rappresentano più uno strumento di analisi della realtà, quanto la volontà di alimentare conflitti sociali ai quali si risponde con la minaccia di far intervenite le forze dell’ordine.
La posta in gioco, in modo evidente, è il destino della cultura come strumento di promozione umana e sociale, perché è molto più facile pensare che il mondo sia semplice, ma purtroppo o per fortuna non lo è! Eravamo in piazza anche per questo, perché le persone convinte di questo dato inevitabile trovino la maniera di rendere popolare “la complicazione”, di spiegarla, di proporre a partire da questa una credibilità di governo.
Anche questo è un messaggio che in modo fragoroso ci arriva da oltreoceano, certo ci vuole tempo, fatica, pazienza e così dobbiamo utilizzare gli anni che ci separano dalla prossima competizione elettorale.
Come molti di voi sono stato al Circo Massimo e palesemente quella non era una manifestazione di gruppi dirigenti (anzi, da questo punto di vista c’era qualche vuoto non sempre giustificato).
Era piuttosto caratterizzata e interpretata da tantissimi giovani, famiglie che rappresentavano proprio per questo un messaggio di speranza: il nemico era chiaro ed era la paura che vuole impadronirsi della nostra quotidianità, e proprio per questo ho trovato di pessimo gusto le valutazioni numeriche, peraltro false, della destra che evidentemente non ha percepito questa novità, o percependola teme che le sottragga spazi di consenso, ma mi hanno colpito anche alcuni distinguo, al nostro interno, sull’opportunità di esserci, come se nel gioco democratico questo non fosse un legittimo strumento dell’opposizione.
Invece abbiamo riconquistato una parte della piazza italiana e resa visibile la proposta, la scommessa del PD rispetto una diversa opzione di crescita del paese, riannodato i fili con il popolo delle primarie e risposto ad una attesa diffusa che percepisco nelle tappe del piccolo viaggio che sto facendo nei Circoli del Friuli Venezia Giulia.
Certo, rimane aperto il problema del rapporto con quella parte del Paese che ci ha voltato le spalle, che liberamente ha scelto il centrodestra e dico liberamente perché non mi consolano, né convincono, spiegazioni legate soltanto allo strapotere mediatico di Berlusconi che pure c’è, ma c’è anche qualcosa di più profondo da decrittare sullo scenario dei due anni di governo dell’Unione, e con un deficit di riformismo generato da una coalizione tanto estesa e politicamente frammentata, quanto ristretta nei numeri parlamentari.
Sulle questioni che vi ho sottoposto, la Conferenza di programma prima e il Congresso poi devono necessariamente definire, nell’arco del 2009, un punto di vista certo ed una operatività misurabile che determinino chiaramente le ragioni del nostro stare assieme in un grande partito, discutendo e votando senza paura, superando così le logiche di accomodamento a priori che riecheggiano vecchie appartenenze.
Da qui il profilo della nostra opposizione: non comprendo il senso di un dibattito che talvolta traspare, tra “apocalittici e integrati”, tra chi considera che dovremmo opporci a tutto ciò che fa il Governo a prescindere dal merito e chi ritiene che su tutto vada ricercato un accordo, magari di basso profilo pur di contare in qualche modo…
Intanto pare scontato che per dialogare serve una controparte attenta e senza tentazioni assolutistiche e in qualche caso messianiche e comunque ci sono temi come le riforme istituzionali che devono vederci impegnati tutti, altri che attengono all’azione di Governo rispetto alla quale – quando non sia condivisibile – facciamo bene, anzi abbiamo l’obbligo di alzare la voce, di sostenere ipotesi alternative, proposte distinte e distanti, senza che nessuno possa permettersi di dire che ciò rappresenta un atteggiamento antidemocratico.
Ad esempio, per quanto riguarda la Legge elettorale per le europee (tema d’attualità) abbiamo ragione nel sostenere le nostre proposte, ma se il problema è quello di consentire agli elettori di decidere direttamente la loro rappresentanza, sosteniamo pure coerentemente le preferenze, con un significativo sbarramento di lista e aumento delle Circoscrizioni elettorali, aggiungendo però che se così non dovesse essere esistono altri strumenti, come le primarie, per formare le liste e l’ordine di presenza nelle liste stesse, per garantire la sovranità nelle scelte, evitando così che eventuali liste bloccate diventino una frustrazione, più nel centrosinistra che altrove, un abuso subito dietro il quale nascondersi e giustificarsi, questo non sarebbe riformismo, ma tatticismo!
La chiarezza delle posizioni come tratto distintivo del nostro percorso è di per sé “innovazione” in un paese che ha visto nell’indeterminatezza l’elemento dominante anche nei periodi in cui più forte era la contrapposizione ideologica, innovazione dell’intero sistema politico italiano che abbiamo oggettivamente promosso con la nascita del PD e che dovremmo sempre rivendicare.
Chiarezza anche per quanto attiene alla rete delle alleanze, della quale molto si è discusso lungo il percorso fondativo del PD per approdare alla scelta di andare “liberi” alle elezioni politiche (altra partita, ovviamente, è quella che riguarda il versante delle amministrative), ebbene quella scelta mantiene tutta la sua attualità e orientamenti diversi rappresenterebbero un radicale cambiamento di rotta, un retrocedere dalla proposta sancita con il voto delle Primarie di ottobre 2007.
In questo ragionamento non c’è nessuna vanagloriosa autosufficienza, si tratta di confrontarsi infatti con tutti gli alleati possibili, sulla base però di un forte profilo identitario che impedisca alle ragioni dell’addizione delle micropercentuali di avere il sopravvento sulle ragioni programmatiche, come è stato nel 2006 con l’esito che purtroppo conosciamo.
Piuttosto ci vuole il coraggio, nel respingere ogni forma di massimalismo velleitario, di proporre un progetto radicalmente alternativo al centrodestra: questo è il messaggio più forte che arriva dal “Circo Massimo” e sbaglia chi sottovaluta questo sentire comune perché il riformismo è anche radicalità quando questa non si contrappone alla necessaria responsabilità.
Sono l’indistinto e il contiguo che ci danneggiano, il contenere la discussione sui problemi fondamentali della nostra società nei confini dell’autocensura, mentre troppo spesso diamo l’impressione di indugiare su polemiche di basso profilo che non interessano alla stragrande maggioranza dei nostri elettori attuali e potenziali, perché le percepiscono come un gioco di posizionamento tutto interno.
Se quanto avvenuto in America dimostra che un altro ordine mondiale è possibile, la nostra manifestazione del 25 ottobre è servita a dimostrare – fatte le debite proporzioni – che in Italia è possibile un’altra politica, anzi che ce n’è proprio bisogno.
In questo compito siamo tutti ugualmente impegnati in vista del primo appuntamento con la Conferenza Programmatica, e il primo segnale positivo da dare è l’abbandono di quel sotterraneo brontolio che, oggi come in altre epoche, non ci fa bene perché ci ritaglia un profilo francamente antipatico che per altro sfida qualunque legge del marketing politico.
Meglio affrontare apertamente le questioni sulla base di proposte politiche alternative, lo Statuto nazionale ci consegna tutti gli strumenti democratici e partecipativi per farlo così come lo consentirà lo Statuto regionale che approveremo.
Si tratta semplicemente di essere all’altezza della domanda di buona politica che abbiamo raccolto il 25 ottobre.
Nella nostra regione useremo la stessa tenacia per un lavoro lungo quattro anni e mezzo perché sappiamo che questa maggioranza è destinata a durare oltre le divisioni che la segnano e che nelle ultime settimane si sono fatte sempre più evidenti.
Un tempo lungo da sfruttare per intero perché nel 2013 non sarà sufficiente capitalizzare la perdita di consensi che la destra certamente accuserà, tanto più in una realtà come la nostra dove il comportamento elettorale ha storicamente premiato la conservazione, quindi il tratto di innovazione culturale e politica che ci viene richiesto, ad iniziare dal nostro modo di stare assieme e di costruire alleanze, è più alto e richiede più coinvolgimento e più fatica.
A questo proposito credo che, al di là del percorso che si darà la Conferenza Programmatica Nazionale (lunedì 17 la Conferenza dei Segretari regionali affronterà il tema), sia opportuno prevedere la formalizzazione di quella regionale, preceduta dall’Assemblea dei Coordinatori di Circolo ai quali proporrò di strutturare un coordinamento permanente e dall’Assemblea degli Amministratori locali ai quali chiederò di darsi una rappresentanza stabile nell’ambito del Partito Democratico.
E’ questa la sede per sostenere con convinzione questo impegno per rafforzare il senso politico di questo percorso, anche in considerazione degli impegni per le elezioni amministrative ed europee del prossimo anno.
Partiremo dell’elaborazione della Commissione per il Programma regionale che ha prodotto un gran lavoro (e che approfitto dell’occasione per ringraziare così come ringrazio la Commissione per lo Statuto che ha fatto una proposta di gran livello che più tardi affronteremo) e utilizzeremo il nostro programma elettorale che risulta tutt’altro che superato, anzi per alcuni aspetti relativi all’economia e al sociale anticipa interventi che oggi sarebbero fondamentali per affrontare i problemi che l’attuale crisi ci consegna e ai quali la Giunta regionale non sa rispondere se non con formule astratte o di circostanza.
La natura del consenso della destra regionale è del tutto diversa da quella nazionale e di quello si nutre, assistiamo ad una declinazione locale del segno berlusconiano già teorizzata durante la campagna elettorale senza una convincente applicazione sulle questioni, le tante questioni locali aperte.
Se è stata una scelta azzeccata per vincere, si rivela oggi clamorosamente inadatta per governare come denuncia in una recente e ampia intervista il Presidente della Regione che, senza giri di parole, dichiara l’impreparazione del centrodestra alla vittoria.
Anche da qui nasce la pratica sistematica della “damnatio memoriae”, dell’abolizione pervicace di quanto è stato fatto, rimandando a tempi indefiniti proposte alternative con un lavoro di piccolo cabotaggio che risulta autolesionistico per il governo regionale stesso in quanto sottrae strumenti importanti di intervento.
Come era inevitabile la crisi fa risaltare ancor di più questa indeterminatezza e non si ravvisa una strategia alla quale cittadini, famiglie e imprese possano far riferimento: è stato abrogato il reddito di cittadinanza, bloccato il percorso della Carta Famiglia, drasticamente ridimensionato l’apporto positivo della Legge sul Buon Lavor, abolita la legge sull’immigrazione … In alternativa nulla, si vedrà!
Abbiamo registrato l’annuncio dell’intervento della Regione nei confronti delle imprese in difficoltà, aggiuntivo a quello nazionale, allo “scoop” non sono seguiti i fatti, è sceso il silenzio e ancora attendiamo la convocazione della Commissione che abbiamo richiesto per poterne discutere e approfondire le possibili modalità di intervento, così come sul versante delle famiglie si cincischia mentre i bisogni crescono e fungono da moltiplicatori dell’insicurezza.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro e la lotta alla precarietà che avevamo intrapreso con ottimi risultati, osserviamo un restringimento di risorse disponibili mentre è proprio in tempo di crisi che bisogna allargare la platea di riferimento.
Certo il nostro ragionamento si colloca all’interno di una visione moderna dello stato sociale che mette al centro delle politiche i diritti delle persone, la destra si muove in un’altra direzione, quella illustrata non casualmente dal Presidente della Regione quando invita, per combattere la crisi, i professionisti a devolvere l’equivalente monetario di una giornata di lavoro ai poveri.
Si tratta di una concezione ottocentesca della “carità” concepita prima che la rivoluzione industriale facesse maturare la necessità di un nuovo rapporto tra lavoro, reddito, protezione sociale e tempo, una concezione antecedente alla nascita degli stati moderni di cui si parlava all’inizio.
Qualsiasi politica che vincoli i “diritti di cittadinanza” alla buona volontà dei singoli nega, nella sostanza, il concetto stesso di diritto e porta a considerazioni diverse e più ampie sugli spazi autenticamente liberi per la partecipazione democratica.
I “diritti di cittadinanza” sono, per noi, le fondamenta di un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, la chiave con cui interpretare un nuovo sistema di protezione sociale improntato allo sviluppo dei singoli cittadini e della collettività nel rispetto dell’ irriducibile unicità delle persone.
Questo è un discrimine importante che da respiro a tutta la nostra azione politica, non è una variabile indipendente, è uno dei tratti costitutivi, forse il più importante, di un grande partito di massa come il nostro e su questo aspetto va esplicitata la radicalità di cui parlavo prima con l’obiettivo di costruire una rete articolata di aspettative, competenze e disponibilità.
Valorizzare i diritti di cittadinanza significa attivare relazioni diverse fra persone ed istituzioni in ogni situazione della nostra vita, per quanto riguarda il lavoro, la formazione, la salute, l’organizzazione della vita sociale.
Mi rendo conto che il discorso è complesso, di una complessità che la destra nasconde e quindi abroga logicamente tutti quei provvedimenti che vanno in questa direzione e pensa, al posto delle politiche attive che abbiamo affermato, di trasferire un po’ di denaro alle casse comunali per l’assistenza, senza criteri definiti:
significa consegnare i diritti dei cittadini ai diversi ordini di priorità dei vari comuni.
In questi giorni comincerà la discussione sulla Finanziaria regionale, tra stato di crisi ed esigenza di sviluppo, tra il rigore necessario e le diverse opzioni dentro la maggioranza, sarà un importante banco di prova ad iniziare dalla stima delle entrate e dalla politica da intraprendere per sostenerle.
Sarà una verifica anche per noi e credo sarà necessario individuare poche questioni su cui articolare e promuovere un confronto su tutto il territorio regionale, mantenendo su questo filo la coerenza della nostra azione politica anche in aula.
E’ compito e responsabilità di tutto il partito, nelle sue diverse articolazioni, a cominciare certamente dal Gruppo regionale che metterà come sempre a disposizione strumenti e documentazione affinché sia possibile la necessaria consapevolezza nel condividere i problemi che affronteremo sul territorio.
C’è molta voglia di fare, di partecipare e ora il partito è strutturato e percepibile, pronto ad un confronto di merito con tutte le organizzazioni economiche e sociali che operano sul nostro territorio ad iniziare dal sindacato confederale con il quale, nella reciproca autonomia, abbiamo iniziato un percorso comune in ordine alle politiche di interesse generale.
Proprio qui stanno le ragioni delle alleanze e della rete che vogliamo costruire, negli obiettivi condivisi di equità e solidarietà sociale. Ci sono state anche differenze, per quanto riguarda INSIEL o la legge che disciplina il commercio, ma anche qui registriamo che le promesse elettorali del centrodestra sono state smentite dalla realtà dei fatti e i provvedimenti adottati risultano quasi una presa in giro, in alcuni casi un danno, producendo anche vistose crepe nella maggioranza.
Questa è la discussione di oggi circa la nostra caratterizzazione dopo lo sconforto motivato e comprensibile per una sconfitta bruciante, ma avverto anche che si è davvero aperta una nuova stagione dove rivendicare un ruolo da protagonisti diventando il punto di riferimento per il mondo della scuola, dell’università, dell’impresa, del lavoro, delle professioni, delle famiglie.
La severità della crisi frantuma le antiche certezze verso un benessere crescente per tutti, quasi magico, anche chi ha votato per la destra inizia a porsi domande nuove, spetta a noi trovare risposte convincenti perché il consenso che i nostri avversari sono destinati a perdere non si trasferirà automaticamente su di noi e, paradossalmente, potrebbe crescere l’indifferenza politica o ravvivarsi quel senso di ribellismo indistinto che non è antidoto né al declino né alle paure, mentre servono soluzioni avanzate, sorrette da una grande partecipazione popolare.
Il prossimo anno, dopo la conferenza di programma di aprirà la stagione congressuale che avrà sullo sfondo i risultati delle amministrative e delle europee e il tema dell’innovazione politica e del rinnovamento che l’accompagna sarà centrale, perché centrale è stato nel dibattito fondativo.
Tema importante e delicato in quanto strettamente legato alle prospettive delle nuove generazioni, del Paese prima ancora del Partito Democratico.
La discussione non sarà semplice, così come non sarà rinviabile e il primo importante passo sarà quello di chiudere definitivamente la stagione degli ex di qualcosa, chiuderla perché altrimenti ci precluderemmo il futuro.
Questo per me non è un dato estetico o una bizzarria intellettuale, un partito rappresenta ragioni politiche generali, ma so che è anche fatto di carne e sangue, di storie importanti, di orgoglio, di stima e affetto cementati in anni non sempre facili.
In un Partito vi sono anche antagonismi, contrapposizioni, legittime battaglie dove prevale ora l’uno ora l’altro punto di vista….tutto ciò è sicuramente una ricchezza, lo riconosco fino in fondo, ma sono convinto che di questa ricchezza non possiamo permetterci di essere prigionieri, non possiamo proprio, il cielo del futuro ha altre costellazioni.
Dobbiamo trovare, discutendo tra noi, forme di aggregazione interna che non siano la fotocopia delle nostre provenienze, aggregazioni su temi di alto contenuto culturale e politico, così come è normale sia in un Partito di queste dimensione dove, per scelta e per dettato statutario, non impera il pensiero unico, ma liberiamoci dagli occhiali del passato che guardavano un mondo che non c’è più.
Quegli stessi occhiali ci portano anche a letture curiose, ad esempio ho notato un’ interpretazione del rinnovamento quasi fosse legato a tatticismi interni piuttosto che ad una necessità oggettiva della vita di un partito, ho visto dentro questo dibattito sparire la consapevolezza che dovrebbe trattarsi di una condizione naturale della politica, non un’ ordalia, un giudizio di Dio.
Per questo trovo stravagante immaginare che il rinnovamento non sia un processo generale consapevolmente gestito e preparato, ma che riguardi di volta in volta questo o quello, a seconda delle mutevoli configurazioni delle alleanze che si possono realizzare, per lasciare inalterato il resto e poi ricominciare a tessere….
Non regge più, amici e compagni miei, questo schema non regge più, vi propongo piuttosto un’assunzione collettiva di responsabilità che ci porti a governare questo necessario processo in profondità, con la convinzione che si viene ricordati con gratitudine, per quanto questo sentimento possa ancora avere cittadinanza nella vita politica, se si ha il coraggio di promuovere cambi di mentalità, di atteggiamenti, di pratiche relazionali, di responsabilità di direzione politica, di presenza nelle assemblee elettive ad ogni livello.
Questo è il compito che ci viene assegnato per essere all’altezza della sfida, per cogliere le opportunità e sono convinto davvero che tutti insieme saremo capaci di portarlo a compimento.
Il viaggio nei circoli mi procura qualche piccola fatica, ma molta gratificazione e mi fa capire sempre più la distanza tra antichi ancoraggi e nuovi approdi. E’ un piccolo viaggio, certamente, ma imparo nuove cose sulla nostra regione, su di noi, su di me e girando così, fondamentalmente per ascoltare, mi ero convinto che la manifestazione del 25 ottobre sarebbe stata uno straordinario successo e non capivo perché qualcuno la pensasse diversamente: poi mi sono ricordato delle primarie, anche in quell’occasione si percepiva la voglia di partecipazione e anche allora c’erano gli scettici, alla fine 3.500.000 persone hanno risposto nel modo che sappiamo.
Ci sono belle persone in giro, tante e se dimostreremo di saper voler bene a queste persone, proponendo una buona politica, il riscontro sarà quell’ entusiasmo necessario a ricostruire un profilo migliore del nostro paese e della nostra regione.
Speranze, certo, speranze contro le paure che dobbiamo vincere con la voglia e la certezza di farcela perché ci crediamo.
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