5 Marzo 2009

Umberto Zanfagnini: ricordo di un democratico

La storia di Umberto è la storia della generazione protagonista della lotta di liberazione, dei CNL e del grande impegno per costruire le basi democratiche della Repubblica Italiana uscita dalle prove laceranti del fascismo e della guerra .
La sua storia è comune a personalità importanti della resistenza che egli ebbe la fortuna di conoscere e frequentare come Parri, Calamandrei, Codignola, Greppi e di figure come Giovanni Cosattini, Sindaco di Udine e Presidente del CNL che egli definì “mio maestro di socialismo e democrazia”. Da membro del CNL provinciale militò inizialmente nella Democrazia Cristiana, un’esperienza vissuta come impegno per la “liberazione dell’uomo e per una profonda trasformazione sociale” e se ne allontanò quando percepì che settori importanti del partito tendevano al rinvio dell’elezione della Costituente e del referendum istituzionale, prolungando il regime luogotenenziale e puntando alle sole consultazioni amministrative per sostituire le giunte nominate dai Comitati di liberazione nazionale.
Da questa riflessione, più che dalle valutazioni figlie di quel periodo storico, che Zanfagnini fece sull’allontanamento della DC dal “messaggio cristiano e dalla vera rappresentanza operaia e popolare dell’esperienza sturziana”, emerge una sintonia con Piero Calamandrei, uno dei grandi protagonisti dell’Assemblea costituente che, in un discorso pronunciato in Piazza santa Croce a Firenze il 14 ottobre 1945, metteva in guardia sui pericoli che venivano portati proprio alla Costituente “da coloro che la temono, perché sanno che porterà la repubblica, l’autonomia regionale, lo Stato decentrato e una democrazia vera e piena , basata non soltanto sui diritti politici del cittadino, ma anche sui diritti sociali del lavoro, primo titolo di dignità umana e di libertà morale. C’è gente timorosa che non ha il coraggio di opporsi a viso aperto alla Costituente: oggi a parole tutti sono per la Costituente, come a parole tutti sono democratici …” Pochi giorni prima Zanfagnini rassegnò le dimissioni dalla DC e aderì al Partito Socialista di Gino Pieri, Felice Feruglio, Carlo Pignat, Ernesto Piemonte, per citarne alcuni, pur evidenziando le doti, i valori autentici e gli ideali di figure come Tiziano Tessitori. Ebbe più volte modo di sottolineare come la conquista della libertà si fosse raggiunta grazie all’alleanza e alla solidarietà di forze politiche diverse, talvolta divise sulle prospettive dell’assetto statuale del confine orientale, ma accomunate dalla volontà di riscattare l’Italia dal fascismo.
Umberto Zanfagnini, pur essendo fautore di una politica dei socialisti autonomista, già dopo il 1948 definì come errori imperdonabili per il futuro del riformismo italiano sia il patto del Fronte popolare democratico Popolare con il PCI, che la scissione di palazzo Barberini del 1947.
L’anno successivo entrò in parlamento, unico in rappresentanza del movimento socialista friulano, dal momento che i candidati eletti dal Fronte furono quelli di estrazione comunista.
L’”anima irrequieta e ribelle”, come fu definita, di Umberto emerse sulla contrarietà alla cosiddetta legge “truffa” del 1953 che lo portò a dar vita a Unità Popolare, promossa da molti azionisti come Parri e Calamandrei che si opposero con ogni mezzo al “disegno conservatore e reazionario” della modifica del sistema elettorale, come ebbe modo di definirlo e che costituisce la parte preponderante del suo libro “una battaglia democratica e socialista”, uscito nel 1977.
In esso viene riportato anche il discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 16 gennaio 1953, nel quale lucidamente spiegò le ragioni, molto attuali, della sua contrarietà alla legge, contestando il ricorso al voto di fiducia chiesto dal Governo, visto come “lesione della libertà e sovranità della Camera su una materia, quella elettorale, rispetto alla quale l’esecutivo doveva mantenersi estraneo”.
Zanfagnini manifestò la propria contrarietà ad alterazioni al sistema elettorale a vantaggio di uno schieramento e denunciò la sudditanza alla DC dei Socialdemocratici, ma anche dei partiti laici eredi della tradizione risorgimentale, sul principio di difesa delle regole democratiche sancite dalla carta costituzionale.
Dopo l’uscita dal PSDI e l’adesione a Unità Popolare, che adottò per le elezioni il simbolo delle società operaie delle due mani che si stringono, Zanfagnini condusse una campagna elettorale senza organizzazione di partito, e contribuì anche con il successo della nuova formazione politica in Friuli a non far scattare il premio di maggioranza che avrebbe comportato uno scarto di ben 170 seggi tra maggioranza ed opposizione.
Anche nel momento della sua affermazione in Friuli e del forte calo dei consensi del PSDI, Zanfagnini ebbe parole di grande stima e considerazione verso Giovanni Cosattini candidato dei Socialdemocratici, visto “come una figura di uomo e socialista consacrata alla storia del movimento operaio e dell’epopea della resistenza”.
Confluì con buona parte degli azionisti nel PSI, accolto da Fermo Solari e interpretò negativamente le prospettive del socialismo riformista italiano di fronte alle divisioni, fratture, scissioni dal 1947 in poi, interpretate come storia di un declino che si sarebbe dovuto evitare nell’interesse delle prospettive politiche del nostro Paese.
Visse la battaglia contro la legge truffa come una vittoria dei valori costituzionali e dei futuri sviluppi della democrazia, comprendendovi il risultato del referendum sul divorzio del 1972.
Nelle conclusioni alle riflessioni sulla sua attività, Zanfagnini sottolineò come fosse “importante e intima soddisfazione morale per lui essersi trovato sempre sulla trincea della democrazia nella resistenza (ancor quando apparteneva alla DC) per sostenere la necessità del comando unico tra le due formazioni partigiane in nome dell’unità della lotta antifascista”.
E si trovò sulle trincee della democrazia in tutte le battaglie politiche dopo la liberazione: il referendum sulla Repubblica, la Costituente, fu contro il Fronte Democratico Popolare e poi contro la legge truffa.
Fu, come scrisse, “dalla parte della Democrazia e quindi del socialismo, convinto di aver risposto alla sua coerenza morale e politica”.
Quanto riportò nel 1977 conserva avere ancor oggi una sua attualità: i grandi problemi del Paese, come quello della casa per i meno abbienti, la speculazione edilizia, il degrado dell’ambiente e del paesaggio, il sistema fiscale iniquo, l’abbassamento del livello della scuola, il problema della criminalità.
“Ne è derivata una società utilitaristica vissuta all’insegna dello spreco e del più smaccato consumismo, in cui si insegue il denaro ad ogni costo, non si conosce il senso del dovere e si ignorano i valori morali che si identificano con il rispetto della persona umana”.
La generazione di Zanfagnini e dei combattenti per la libertà ha considerato il proprio impegno come un punto di partenza che doveva consegnare ai più giovani, alle generazioni future la strada da seguire.
E’ la nostra vita, il nostro modo di essere, la nostra attività politica ed amministrativa che può dare un significato al loro impegno, ai loro ideali.
Dipende da noi farne vivere la memoria o farli morire per sempre.
E’ una sconfitta anche nostra, delle istituzioni repubblicane che questa generazione ha contribuito a costruire se verrà meno la memoria collettiva sulle pagine straordinarie scritte dai protagonisti di quegli anni.
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