18 Dicembre 2009

Relazione on Mornado” uno stato semplice ed efficente”

Quindi, prima di venire a qualche precisa proposta di riforma – nel campo di cui ci occupiamo questa mattina – farò solo tre considerazioni generali.

1- Poiché nel tema del convegno si parla di “crescita economica”, dobbiamo rispondere con precisione a questa domanda: quale peso/ruolo assegniamo allo Stato e alla Politica, nel determinare il livello di sviluppo e di crescita economica?

La mia risposta è la seguente: siamo e vogliamo continuare ad essere un’economia di mercato. Il mercato non esiste senza regole. Le regole le fissa lo Stato. Dentro quelle regole, si sviluppa la libera iniziativa delle forze produttive; compreso il conflitto sociale, fonte di dinamismo. In una economia sociale di mercato di tipo Europeo – quale noi siamo – il peso economico dello Stato è molto grande (lo Stato intermedia una quota di ricchezza nazionale attorno al 50%). Lo Stato interviene a correzione dei fallimenti del mercato (ambiente, istruzione, vecchiaia: il mercato tende ad essere miope). Ma anche lo Stato dà luogo a fallimenti (pressione fiscale che soffoca lo sviluppo; peso delle burocrazie, che usano le risorse pubbliche a fini privati). Quindi, in conclusione: anche nelle economie aperte della globalizzazione, lo Stato e la politica economica possono e sono parecchio. Ma non possono e non sono tutto. Anzi. È sbagliato – e porta a disastri – pensare che lo Stato sia in grado di determinare lo sviluppo. Ma senza uno Stato “buono”, non c’è sviluppo.

2- Nel discutere di Stato dobbiamo dunque essere ben consapevoli (specie a sinistra) dei limiti dello Stato stesso e, quindi, dei limiti della politica. Ma se c’è un campo nel quale moltissimo – quasi tutto – dipende dalla politica, questo è proprio il campo della qualità, della efficienza, della trasparenza, della efficacia dello Stato, cioè delle istituzioni e della macchina pubblica. Se oggi in Italia i cittadini giudicano negativamente la politica, ciò è in larga misura dovuto al fatto che essi attribuiscono alla politica la colpa di non aver fatto bene il proprio mestiere, nel suo core businnes: organizzare bene – costi bassi e prestazioni elevate – la macchina pubblica.

Dunque, il primo compito dei riformisti – del PD, come partito-asse dello schieramento riformista – è quello di dimostrarsi capaci di migliorare le performances della politica su questo punto. Consapevoli che noi del centro-sinistra, rispetto a quelli del centro-destra, siamo guardati con più sospetti, perché siamo noi – è la nostra tradizione, la nostra cultura politica di fondo – quella che storicamente si è “alzata” contro i fallimenti del mercato, usando lo Stato. Se lo Stato è cattivo, il giudizio negativo si rivolge prima a noi e poi agli altri, ai nostri avversari.

3- Ciò che lo Stato spende, è pagato dai cittadini (presenti o, se lo fa a debito, futuri). Non ci sono pasti gratis. Le tasse, dunque, sono il prezzo pagato dai cittadini per le prestazioni dello Stato. Non ci sono, quindi, livelli di prezzo (livello di pressione fiscale) alti o bassi in astratto, a prescindere dalla quantità e qualità del bene acquistato (le prestazioni della Pubblica Amministrazione). Una pressione fiscale superiore al 50% del PIL (livello Nord-Europeo) è altissima, ma può essere giudicata un prezzo accettabile se le prestazioni sono quelle dello Stato Sociale svedese. Una pressione fiscale significativamente inferiore (il 43%, in Italia) può essere considerata insopportabile, se le prestazioni sono quelle della Pubblica Amministrazione italiana.

Alla luce di queste tre osservazioni, vengo agli esempi puntuali di riforme possibili da noi proposte, per la semplificazione, la sburocratizzazione, la maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione.

  1. comincerò da una proposta molto semplice da descrivere, ma meno facile da attuare.

a1- Nel Programma elettorale del Partito Democratico, alla Azione di Governo n.8, lettera c, trovate scritto: le tasse non sono solo quelle che si definiscono tali. Alla pressione fiscale andrebbe aggiunta la pressione burocratica, cioè il peso (monetario) delle procedure burocratiche addossate ai cittadini e alle imprese. La responsabilità della pressione burocratica è in larghissima misura del Parlamento, che legifera senza vincoli sotto questo profilo. Proposta: in tutti i casi in cui il Parlamento intenda introdurre una nuova procedura, deve obbligatoriamente procedere a valutarne il costo monetario per cittadini ed imprese e deve obbligatoriamente procedere ad attribuire a cittadini ed imprese un credito d’imposta pari al 50% di quel costo. Il Parlamento smetterebbe di legiferare “gratis” in questo campo.

Cosa abbiamo proposto? È semplice: nella nuova legge di contabilità, attuativa dell’art. 81 quarto comma della Costituzione, abbiamo proposto di inserire esattamente questa “regola” di copertura. Questa volta non per la tutela del bilancio pubblico, ma per la tutela dei bilanci dei privati, cittadini o imprese che siano: quando una nuova legge determina – come da allegata relazione tecnica – un onere per le imprese, introducendo una nuova procedura, lo Stato, nella stessa Legge, prevede l’istituzione di un credito d’imposta automatico del valore pari al 50% dei costi aggiuntivi sopportati dall’impresa. Un onere, va da sé, che deve essere posto a carico del Bilancio dello Stato. Proposta avanzata. Proposta respinta. Ritenteremo.

a2- sempre in questo ambito – ridurre il peso della burocrazia sulle imprese – abbiamo avanzato, nel Programma del Partito Democratico e poi con un disegno di legge del Governo-ombra, presentato a Milano nel luglio del 2008, la proposta per la Agenzia per le imprese.

Passare dall’amministrazione che autorizza, all’impresa responsabile della propria attività.

Le agenzie per le imprese, enti privati promossi dalle Associazioni e da professionisti associati, sono lo strumento attraverso il quale l’impresa diffusa può accedere ad un nuovo rapporto con le Pubbliche Amministrazioni, fondato sull’autocertificazione e sui controlli ex post.

È una linea di intervento opposta a quella di chi ci governa, che ha creato il Ministro della semplificazione, ma ha organizzato il click day.

Cos’è? C’era una volta – grazie alla scelta del Governo Prodi – il credito d’imposta automatico per gli investimenti in ricerca: tu impresa – da sola o in consorzio con altre – investi in ricerca. E subito, senza dover chiedere niente a nessuno, trattieni l’incentivo dalle tasse e contributi che devi pagare. Semplicemente, col modello F24. Arrivati i semplificatori del centro-destra, viene introdotto il tetto di spesa. Secondo loro, la norma così com’era “tirava troppo sulla cassa”. Tetto di spesa chiama “domanda”. Domanda chiama risposta, positiva o negativa. Ma come scegliere quelli da “salvare” e quelli da “punire” col diniego? I “semplificatori” hanno la soluzione: il click day. Il giorno y, all’ora x (battuta dall’orologio “ufficiale” dell’Agenzia delle entrate), si clicca per inviare le domande. Quelli col dito più veloce, in paradiso. Quelli più lenti (come nei vecchi film western), nella polvere a faccia in giù. Una orgia burocratica. Ma (quasi) nessuno ha detto nulla.

Tornando ora alla nostra proposta della Agenzia per le imprese, si tratta di una linea di intervento che consentirebbe, tra l’altro, di ridurre il numero dei dipendenti pubblici, concentrando le risorse sulla loro qualità, sulla capacità di svolgere attività di controllo e regolazione. Un esempio può dare l’idea: pensate a come potrebbe essere gestita, in autocertificazione, tutta l’enorme massa delle autorizzazioni in campo “ambientale” per le imprese da parte delle Province.

a3- il problema dei ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione.

In un contesto di crisi della liquidità e contingentamento del credito, molte imprese che hanno lavorato e lavorano per la Pubblica Amministrazione non ricevono il dovuto. Risultato: crisi di liquidità. Decisione di ricorrere alla C.I.G. Riduzione dei contratti “atipici”.

Nel Programma del PD, avevamo scritto:

Il debito non è quello che si definisce tale. Infatti, al debito ufficiale bisognerebbe aggiungere i rimborsi fiscali (Iva, Ire e IRES) che a volte risalgono a 10 anni fa, nonché le somme dovute dalle pubbliche amministrazioni (in particolare dalle Aziende sanitarie) alle imprese. Realizziamo un’emissione straordinaria di titoli per coprire il pregresso e stabiliamo per legge che oltre i sei (da ridurre, nel medio periodo, a tre) mesi di ritardo della amministrazione fiscale e delle pubbliche amministrazioni si faccia luogo alle stesse procedure che queste amministrazioni usano nei confronti dei cittadini. …….

Nell’ambito della discussione della Legge Finanziaria per il 2009, abbiamo dato corso a questa proposta, con un preciso emendamento. Unica variante, rispetto al Programma PD, è data dal ricorso all’intervento della Cassa Depositi e Prestiti, che scoppia di soldi, per il boom della raccolta postale. In sintesi: dopo 150 giorni di vana attesa, le imprese “vendono” il credito vantato presso la Pubblica Amministrazione alla Cassa Depostiti e Prestiti, che paga subito. E si rivale sullo Stato, con oneri (non enormi) a carico del Bilancio pubblico. Questo, in attesa dell’intervento più strutturale descritto dal Programma PD.

B- Il nuovo codice dei rapporti di lavoro. Si tratta del disegno di legge n° 1873, elaborato e presentato da Pietro Ichino e sottoscritto da un gran numero di senatori del Partito Democratico.

È la realizzazione dello “Statuto dei lavori”.

La situazione di oggi: – mercato del lavoro caratterizzato da drammatico dualismo: da una parte chi ha tutele e garanzie, dall’altra chi non ha (quasi) nulla;

  • mille e più pagine di normativa giuslavoristica;

  • lavoratori non in grado di conoscere l’essenziale, in tema di diritti e doveri, senza l’assistenza tecnica fornita da un sindacato;

  • imprese a loro volta costrette, per orizzontarsi, a onerose consulenze;

La proposta: tutto, in 64 articoli del Codice Civile, corrispondenti agli attuali articoli in materia di lavoro, scritto in linguaggio semplice e comprensibile ai più.

Qualche esempio:

  1. oggi, su apprendistato: 5 articoli Codice Civile + 33 articoli Legge 25 del 1955 + 7 articoli del Decreto Legislativo 276 del 2003, composti, solo questi ultimi, di 1859 parole;

La stessa protezione con un solo articolo (2130 del Codice Civile di questo disegno di legge) di 414 parole;

  1. oggi, su paternità e maternità, abbiamo: 57 articoli del testo unico decreto legislativo n. 151 del 2001. Ora, col disegno di legge Ichino, tutto in un solo articolo 2111, con identiche tutele.

Naturalmente, la proposta Ichino è rilevante soprattutto per il cambiamento radicale che promuove sul terreno delle tutele, dei diritti e dei doveri, in materia di rapporti di lavoro.

L’obiettivo fondamentale è uno: il superamento del sistema duale. Poiché il bisogno di protezione nel mercato del lavoro nasce essenzialmente non dalla subordinazione, ma dallo squilibrio di potere contrattuale tipico della situazione di dipendenza del prestatore dall’impresa, questa è la fattispecie assunta a riferimento. In questa sede, comunque, mi interessa segnalare la proposta per il suo contenuto di semplificazione. Essa dimostra che le leggi possono essere chiare, comprensibili a tutti, senza ridurre il livello di protezione.

C- Riduzione e riqualificazione della spesa pubblica, per poter ridurre la pressione fiscale sui contribuenti leali.

Con l’Euro, siamo entrati (per fortuna) in un’area di stabilità monetaria e finanziaria. Dobbiamo restarci, pena la catastrofe.

Abbiamo bisogno, però, di un salto nelle nostre capacità competitive (non possiamo più ricorrere alle svalutazioni della moneta, per recuperare competitività di prezzo dei nostri prodotti sui mercati di esportazione):

  1. capitale umano (scuola, università, ricerca)

  2. sicurezza-legalità-giustizia

  3. infrastrutture materiali e immateriali.

Alcune di queste riforme si possono far a costo zero, spendendo meglio, anche se non meno.

Ad esempio, sembra essere il caso di:

servizio Giustizia,

servizio Sicurezza,

servizio Scuola.

Altre, hanno bisogno di risorse aggiuntive.

Infrastrutture materiali e immateriali,

Università,

Sanità – (bene oggi, ma in prospettiva, con l’invecchiamento della popolazione….)

Politiche attive per l’occupazione,

Servizi per la primissima età e la famiglia,

Servizi di conciliazione per l’occupazione femminile

Dove le prendiamo, le risorse?

Aumentando ancora la pressione fiscale? No. Al contrario. Dobbiamo semmai programmare una sua tendenziale riduzione, nel medio-lungo periodo, per almeno 2 punti di PIL.

Subito possiamo e dobbiamo operare per una sua riduzione selettiva, orientata a premere di meno sul lavoro e la produzione e di più sulla rendita.

Per il resto, le risorse debbono essere reperite attraverso una costante riduzione della spesa corrente primaria.

La Banca d’Italia ci dice, col suo bollettino e con l’audizione di Saccomanni in Senato, come sono andate le cose in questi ultimi otto anni.

Spesa corrente al netto degli interessi: nel 2000: 37,3 PIL; nel 2006: 39,5 PIL;

nel 2009: 43,1 PIL.

Una crescita impressionante

Negli stessi anni, la spesa per interessi cadeva:

nel 2000: 6,3 PIL;

nel 2006: 4,6;

nel 2009: 4,8.

Questi dati dicono che il nodo da sciogliere sta nel controllo della spesa corrente primaria.

Solo un’insieme di attività (legislative ed amministrative) che mettano sotto controllo l’evoluzione della spesa corrente primaria può aprire lo spazio per:

più spesa sociale (ammortizzatori sociali e lotta alla povertà);

più spesa in conto capitale (infrastrutture e ricerca);

meno pressione fiscale (dote fiscale dei figli, detassazione del lavoro femminile, riduzione dell’IRAP attraverso la progressiva espunzione del costo del lavoro dalla sua base imponibile).

Vediamo, in proposito, cosa prevedeva il Programma del PD.

Spendere meglio e meno. Il conseguimento di questo obiettivo – mezzo punto di PIL di spesa corrente primaria in meno nel primo anno, un punto nel secondo e un punto nel terzo – è condizione irrinunciabile per onorare l’impegno che assumiamo con i contribuenti italiani, famiglie e imprese: restituire loro, con riduzioni di aliquota e detrazioni, ogni euro di gettito aggiuntivo, derivante da lotta all’evasione fiscale.

Sistematica comparazione- anche a livello micro – delle performances dei singoli uffici delle Pubbliche Amministrazioni, per assegnare a tutti credibili obiettivi di convergenza verso quelle ottenute dai migliori. Attività di sistematica revisione della spesa (anche utilizzando comparazioni internazionali) e completamento della riforma del bilancio per migliorare la responsabilizzazione dei politici e dei dirigenti.

Attivazione di efficaci meccanismi di valutazione per tutta la Pubblica Amministrazione. Deve presiedervi un’apposita Agenzia Nazionale, anche al fine di aggiornare costantemente le metodologie.

Remunerazione dei dirigenti robustamente condizionata al conseguimento di risultati predeterminati.

Rimpiazzo parziale e selettivo (50%) del turnover, ricorrendo alla mobilità.

Favole? Mica tanto. È illuminante l’esempio delle Prefetture. La Commissione tecnica per la spending review – che il Governo di centro-destra ha subito sciolto – ha fatto un’operazione elementare: ha messo in graduatoria le Prefetture italiane secondo l’ordine crescente del rapporto addetti ogni 10.000 abitanti. La prima, con 0,45, è la Prefettura di Milano. Agli ultimi posti, con un rapporto più che doppio, troviamo altre grandi Prefetture del Nord. D’accordo, direte voi. Ma le altre Prefetture, con più personale, funzioneranno meglio. Nossignori. Da che Italia è Italia, la migliore Prefettura è quella di Milano. Non dovrebbe essere difficile fare un esercizio. Chiamare tutti i Prefetti d’Italia, per definire assieme un obiettivo banale: entro due anni, performances analoghe con numero di dipendenti uguale alle tre migliori della corrispondente categoria. Si chiama benchmarking. Fatelo per tutti i segmenti, tutti gli uffici della Pubblica Amministrazione e vedrete che gli obiettivi di riduzione e qualificazione della spesa pubblica di cui parliamo nel Programma non sono fole….

Una ricaduta puntuale di questo approccio: l’emendamento IRAP, che ho presentato alla Legge Finanziaria per il 2010.

Sull’IRAP, gran dibattito: poi, il Governo: no, perché costa troppo. Ecco allora la proposta PD:

con l’attuazione della Legge Brunetta, ufficio per ufficio, settore per settore, si stabilisce e si ottiene che la dinamica della spesa corrente primaria – in primis, quella per lavoro dipendente – non può essere superiore al 50% dell’inflazione prevista. Attenzione, la spesa nel suo complesso: gli aumenti contrattuali qui non c’entrano.

In questo modo, rispetto all’evoluzione tendenziale della spesa, si ottengono risparmi. Questi risparmi, confluiscono in un Fondo. Di anno in anno, le risorse del Fondo finanziano la progressiva riduzione, fino alla eliminazione, del costo del lavoro dalla base imponibile dell’IRAP.

Qual è il vero elemento di novità? Creare un’attenzione e un interesse di massa al successo dell’azione di riduzione della spesa:

tutti, ogni giorno, col fucile puntato di fronte alla porta del Governo: quanto hai risparmiato oggi, per ridurre la mia IRAP?

Respinto: non perché costa soldi. Ma perché è “difficile” politicamente.

Infine, un’osservazione sul lavoro del PD. Le proposte, come vedete, le abbiamo. Se fossimo un centro-studi, il salario ce lo saremmo guadagnato.

Ma siamo un partito: quanto lavoro politico c’è stato e c’è, su questa linea? Al centro e in periferia?

Veltroni: “è ugualmente esecrabile, per il PD, l’evasore fiscale e il pubblico dipendente che non lavora”. Bene: è una frase che dà il segno di una svolta di cultura politica.

Ma cosa è cambiato, dopo quella presa di posizione, nella vita quotidiana di migliaia di amministratori, nel lavoro legislativo delle Regioni, nel lavoro dei Gruppi parlamentari? Nella propaganda? Pressoché nulla. Di qui la sensazione che ha finito col tornare a prevalere, dopo un primo momento di interesse: sono sempre i soliti, la vecchia sinistra, non è cambiato nulla.

E’ alla stessa iniziativa politica quotidiana che dobbiamo riuscire ad imprimere una svolta. Spero che questo Convegno possa contribuire, sia pure in minima parte, a farlo.

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