16 Febbraio 2010

Ionico: i commissari straordinari

In Italia e in Regione questa esiste da molti anni ed è impegnata sulle più disparate situazioni, dalla sanità ai depuratori, dai rifiuti alle strade, dalle terme alle alluvioni. La stessa Protezione Civile in ogni realtà si configura come un commissario dai pieni poteri per gestire ogni sorta di emergenza nei modi e termini che ritiene, di volta in volta, più appropriati. Gli esiti di quest’attività non sono sempre esaltanti, basti pensare ai tempi enormi di costruzione della A28 e alla situazione in cui versa ancora la Laguna di Grado e di Marano. Forse suggeriscono una qualche riflessione più meditata.
L’utilità della figura, assieme all’uso “gladiatorio” della Legge Obiettivo, è stata riproposta dal DPCM, del 5 agosto 2009, che individua gli “investimenti pubblici ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio”, tra cui l’asse ferroviario Venezia-Trieste, e dalla legge regionale n. 11/2009, che fornisce indirizzi nel campo delle opere considerate “strategiche”, dalle infrastrutture viarie alle reti energetiche. In questo momento è in atto nella gestione della 3˄ corsia autostradale. Alla fine, una figura come il Commissario non si contraddistingue per affrontare questioni straordinarie ed emergenziali. Sta diventando nei fatti un modo “consuetudinario” per gestire ogni tipo di situazione e un invito a “commissariare l’iter dei lavori” anche quando non sono utili o condivisi.
In realtà si sta assistendo a una deriva centralistica a ogni livello (statale, regionale), e si sta creando un contrasto con il principio contenuto nella Costituzione e nelle disposizioni regionali dove si richiama la “leale collaborazione” tra potere centrale e poteri locali. Così, comunità e comuni, ad esempio, sono espropriati di potestà di pianificare il proprio territorio e viene meno la “certezza” dell’efficacia della loro pianificazione, che si deve in ogni caso adeguare alle decisioni commissariali.
Ma come rispondere all’esigenza di avere regole e procedure che permettano di pensare e fare le cose presto e bene? E come per far fronte alla rottura e ai conflitti che sempre più spesso si presentano, non solo con il volto popolare (comitati) ma anche con quello istituzionale (tavoli)? E se i governi cambiano, devono per forza cambiare anche le decisioni e le procedure intraprese?
C’è il bisogno di ristabilire il rapporto tra politica e cultura, tra pubblica amministrazione e tecnica, tra le classi dirigenti e gli specialisti; e c’è bisogno di rendere le procedure agili ed efficaci al tempo stesso, senza depotenziare la loro funzione (ad esempio, della Valutazione di Impatto Ambientale, della Valutazione Ambientale Strategica, della Valutazione di Incidenza: si vuole forse operare in assenza di meccanismi valutativi e di controllo?).
La complessità di un’infrastruttura o di una qualsiasi soluzione ipotizzata non può essere arbitrariamente “semplificata”. Non è pensabile, infatti, fornire risposte esclusivamente tecniche a questioni politiche (ad esempio, serve l’opera? che benefici comporta la soluzione proposta? come far interagire l’infrastruttura con il territorio ed i luoghi?).
Naturalmente non basta limitarsi a richiamare la necessità di una “regia unitaria”, fra i diversi livelli istituzionali, capace di affrontare la complessità a un più altro livello di elaborazione.
Prendiamo ad esempio il caso delle opere pubbliche e delle infrastrutture di trasporto. E’ indispensabile riprendere in mano la programmazione, cioè il quadro delle previsioni costituite da un’attenta selezione delle priorità del Paese e della Regione, e la pianificazione, come strumento concettuale e operativo, in modo che i poteri centrali e locali dialogano, si corresponsabilizzano e decidono. Poteri chiamati a esprimersi in conformità a un quadro di conoscenze condivise, con fonti garantite anche da soggetti indipendenti quale condizione minima su cui basare la fiducia reciproca, sulla valutazione delle strategie possibili, anche alternative, supportati dall’analisi costi-benefici delle previsioni, che utilizzano lo strumento della “fattibilità” per valutare le priorità, avviare la concertazione istituzionale, formare le decisioni.
Sarebbe interessante introdurre il concetto di “patto di stabilità” sulle infrastrutture rendendo permanenti le decisioni assunte, nel tempo e indipendentemente del tipo di governo locale. E’ possibile farlo attraverso il vincolo della destinazione delle risorse e il rapporto con il territorio, che non avviene attraverso fasi consultive ex-post ma, invece, interviene nella fase della pre-fattibilità che si pone il problema di legare la programmazione al piano e al progetto tecnico e, in sostanza, assicura sostenibilità alle trasformazioni territoriali e urbane.
In questo clima di “leale collaborazione”, fatto di comportamenti e azioni coerenti, si rafforzano le opportunità di competere, in altre parole si rafforza il concetto di “interesse generale” e diventa possibile la semplificazione delle procedure.

Maurizio Ionico
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