15 Marzo 2010

Menis (PD): l’esercito dei commissari

Se, infatti, la logica vorrebbe fossero, di fatto, dei tecnici, dei soggetti attuatori più che decisori (per quello dovrebbero esserci i politici) e soprattutto temporanei, la realtà è spesso ben diversa.
Addirittura spesso si arriva al paradosso di nominare come commissario la persona che, in base al suo ruolo originario, avrebbe dovuto occuparsi del problema con l’assurdo risultato di incaricare qualcuno di intervenire per risolvere emergenze che ha creato lui stesso! È il caso del governatore Loiero in Calabria, presidente della Regione con delega alla Sanità dal 2008 e nominato commissario, nel dicembre dello scorso anno.
L’emergenza, si sa, è un concetto difficile da definire e ancora di più da dimenticare, specie se la sua presenza può far venir meno molti dei vincoli e delle regole che spesso incontrano nel gestire problemi complessi.
L’eccezionalità della situazione con cui vengono invocati spesso giustifica il prolungamento degli incarichi originari e rende piuttosto complesso far emergere con chiarezza i veri risultati che il commissario sta portando a casa. Il ragionamento di fondo è molto simile a quello fatto per la Protezione Civile. Un Paese che si abitua a ragionare “in deroga” alle regole che esso stesso si è dato, ai suoi controlli e alle sue garanzie, è un Paese malato. Con la differenza che in questo caso, non essendoci un apparato di riferimento ma tanti centri di potere diversi è più difficile avere un panorama completa del fenomeno. A uscire ancora una volta sconfitti sono i cittadini e la dignità della classe politica che dovrebbe governarli.
I contribuenti, prima di tutto, che si ritrovano a dover pagare i salatissimi conti di questo esercito di “supereroi” che spesso fagocitano un mare di risorse pubbliche. La Corte dei Conti, che qualche hanno fa aveva cercato di fare luce sulla questione, ha appurato che normalmente un commissario guadagna, in media, dal 40% al 60% in più rispetto ad un normale stipendio. Un esempio per tutti, il super commissario per la TAV, che ogni anno si porta a casa la rispettabile somma di 146mila euro lordi.
Ma a perdere la partita della credibilità è anche, e soprattutto, la classe politica, ridotta a fare i conti con la propria incapacità, costretta a dover delegare ad altri quello che non è più in grado di fare.
Eletta e pagata profumatamente per decidere che preferisce invece scaricare le proprie responsabilità alla prima difficoltà, far scegliere qualcun altro in modo da non dover sopportare le responsabilità che questo comporta, venendo così meno al suo primo compito che è quello di ascoltare e fare sintesi di interessi diversi e particolari per raggiungerne uno comune e universale.
Un mondo, quello politico, che sfugge a se stesso, assuefatto a vivere le regole del suo funzionamento come un ostacolo, il confronto come un rallentamento, la critica come un attacco personale. Un sistema compromesso, che di fronte all’inefficienza e all’eccessiva lentezza di alcuni passaggi del suo funzionamento non si attiva per modificarli ma si preoccupa solo di superarli, aggirando il problema senza risolverlo nella continua ricerca di una via di fuga dai suoi compiti e dalle sue responsabilità.

Paolo Menis
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