18 Marzo 2010

Menis (PD): i sette peccati capitali del Piano socio-sanitario

Nell’ultima di queste l’ennesimo affronto con l’Assessore che presenta un testo nuovamente cambiato rispetto a quello inviato ai commissari! Un’offesa al metodo democratico, uno stravolgimento del normale iter procedurale che ha visto l’apice nel momento delle audizioni. Fortemente richieste da tutta l’opposizione, sin dall’approvazione del bozza del piano, nel novembre scorso, sono state prima negate, sostenendone l’inutilità visto il percorso già affrontato con il “Libro Verde” e, successivamente al loro svolgimento accolte come “contributi arricchenti” in una schizofrenia politica senza spiegazioni.
Nel libro verde peraltro è difficile individuare qualche traccia delle centinaia di contributi e suggerimenti pervenuti dall’”universo” sanitario e associativo e nel Piano nulla si trova del dibattito emerso nelle audizioni. Anche le ultime modifiche arrivate in commissione sono il frutto soltanto delle mediazioni tra i partiti della maggioranza.
2. La finta riorganizzazione È la parola chiave del piano secondo l’Assessore Kosic, che ne vede l’attuazione rigorosa nel “nuovo” modello hub and spoke. Peccato che questa modalità operativa sia tutt’altro che innovativa visto che già da diversi anni si è creata, in maniera quasi automatica, grazie ad un’efficiente rete di collaborazioni tra professionisti che già provvedono in maniera autonoma a indirizzare i casi più complicati verso le strutture e i trattamenti più opportuni.
Intervenire cercando di normare questi rapporti introducendo rigidi criteri gerarchici nella pianificazione di queste scelte rischia solo di mettere a repentaglio l’efficienza di un sistema che si basa sull’autorevolezza e la capacità dei professionisti. Il tutto nella finzione di voler stravolgere e migliorare una sanità che, nonostante i ben noti problemi del Sud, contribuisce a porre l’Italia ai vertici mondiali della sanità, addirittura al di sopra di sistemi a prevalenza privata.
3. Gli ambulatori per i clandestini Un passaggio assolutamente marginale sul piano economico, ma non su quello sociale, che è diventato il cavallo di battaglia di una crociata ideologica voluta dalla Lega Nord. Nel tentativo di propugnare una politica discriminatoria, criticata ripetutamente dall’Europa e dallo stesso governo nazionale “amico”, si è arrivati al paradosso di far dipendere il voto di un intero gruppo politico, su di un provvedimento che condiziona oltre la metà del bilancio regionale, a una questione di principio che si è risolta in un gravissimo errore.
Gli ambulatori – non certo “cliniche” come demagogicamente ci si ostina a definirle, ma presidi di prima assistenza – garantivano infatti le cure ai soggetti non iscritti al servizio sanitario ragionale con il solo impegno di personale volontario. Con la loro chiusura si è di fatto precluso il ricorso a cure adeguate a una fascia della popolazione attualmente presente sul territorio creando una situazione potenzialmente molto pericolosa. Le alternative a questo punto sono due: o questi soggetti decideranno di non curarsi, generando così possibili focolai di malattie, anche contagiose o al momento poco conosciute nel nostro Paese sottratte a qualsiasi forma di controllo e di prevenzione, oppure si rivolgeranno al Pronto Soccorso del territorio in cui si trovano senza l’opportuno filtro del medico generale intasando queste strutture. In questo modo si diminuirà la loro efficienza contro ogni principio di appropriatezza, di economicità e di tutela della salute pubblica.
4. La logica del risparmio Pur parlando in premessa di “persona al centro” la lettura del documento dà chiaramente l’idea che la logica ossessiva che pervade il Piano è quella del contenimento della spesa. Eppure molte incongruità emergono con disarmante chiarezza anche sotto questo profilo. Spesso si è sentito di voler eliminare “un po’ di primari” con un approccio semplicistico e affrettato, dimenticando il loro ruolo fondamentale nel coordinamento e nella correlativa responsabilità per il funzionamento dei reparti.
All’atto pratico la tanto attesa razionalizzazione si traduce in un taglio nel numero di persone addette ai servizi e alle funzioni. Gli organici, già contratti negli anni scorsi e oggi in sofferenza per il blocco del turn over, subiranno ulteriori riduzioni che porteranno inevitabilmente alla chiusura di servizi e reparti oltre che ad un inevitabile calo della qualità. I 20.000 operatori della sanità pubblica regionale, vera colonna del servizio, non si meritavano un trattamento di questo genere.
5. L’accentramento del potere decisionale e periferizzazione delle tensioni Pare che la semplificazione, altro cardine del documento, passi per l’accentramento dei poteri al superdirettore regionale per cui ogni scelta avente valenza economica (assunzioni, acquisto attrezzature e tecnologie, ecc.) dovrà avere l’autorizzazione della Direzione regionale. Ciò in barba all’autonomia, all’autorevolezza e alla dignità professionale dei direttori delle Ass che avranno il solo compito di mediare le inevitabili tensioni territoriali fra i medici, fra i Sindaci e con i cittadini, a causa della prevista riorganizzazione (in riduzione) nei servizi.
6. Le riforme calate dall’alto Con questo spirito sono state governate le scelte più significative ed impattanti del Piano. Emblematico in questo senso il caso della struttura di Pordenone chiamata a riunire, sotto la sua guida, tutti gli ospedali della Provincia. Tutti i sindaci del territorio si sono detti contrario a questa ipotesi che però, dal 2011, sarà realtà. È questo l’ideale di partecipazione della comunità alla riforma? Non si tratta di un ristretto gruppo d’interesse che blocca un progetto riconosciuto ma della totalità degli amministratori locali che si schiera contro una soluzione organizzativa e la cui volontà andava rispettata ma non è stato così
7. La mancanza di prospettiva Ovvero l’assenza di una progettualità che sappia indicare, per gli anni a venire le cose da fare nel settore della Sanità. Serviranno risposte chiare e semplici a domande concrete da cui dipendono il futuro dei servizi al cittadino. È necessaria una nuova stagione di integrazione sociosanitaria? Come verrà gestito il progressivo riorientamento delle funzioni e delle operatività in considerazioni delle mutate condizioni demografiche, sociali, economiche che ci attendono?
Il Ministro Fazio ha sottolineato come questi piano non sia attuabile senza la prosecuzione del precedente ma questo non significa che alcuni passaggi non necessitassero di un aggiornamento. Tutti sono disposti a fare sacrifici ma nella chiarezza degli obiettivi che si vogliono raggiungere assieme.

Paolo Menis
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