22 Marzo 2010

Menis (PD): scuole superiori, un apseudo-riforma che ci porta indietro nel tempo

Il primo errore riguarda la ridefinizione degli indirizzi. Se è condivisibile che l’attuale situazione, con quasi 500 diverse sperimentazioni, fosse frutto di una deformazione dell’autonomia scolastica una riduzione così drastica – resteranno, infatti, solo 6 licei – rischia di portare più danni che benefici. Questo comporterà, spiega Menis, una forte caratterizzazione e differenziazione dei percorsi didattici che rischia di rendere, di fatto, molto difficile il passaggio tra un indirizzo e l’altro. La questione non è di poco conto se si considera che un ragazzino è chiamato ad una scelta del genere a soli 13 anni. Meglio sarebbe prevedere un biennio comune a tutti gli indirizzi così da rendere possibile, almeno all’inizio, questo tipo di scambio, percorso comunque complicato ma di certo preferibile all’abbandono scolastico. Detto in un altro modo, la realtà che si configura è quella tradizionale dei tre comparti stagni: i licei con formazione umanistica per le professioni liberali, la formazione tecnica con alcuni fondamenti scientifici per i quadri intermedi, gli istituti professionali con poca cultura generale e scientifica orientati al lavoro esecutivo. Mentre è accertato, e richiesto anche dalla Confindustria, che sempre più in un Paese manifatturiero come l’Italia, sono necessarie per tutti competenze di base e trasversali alte e complesse per potersi misurare con il lavoro che cambia, con la riqualificazione, l’aggiornamento permanente, ecc.
Altro punto critico è il cambio del rapporto alunni/classe, destinato a passare da 0,2 a 0,4 nei prossimi tre anni. Sui giornali si sbandiera la linea del rigore a suon di cinque in condotta ma all’atto pratico gli interventi messi in campo vanno proprio nella direzione opposta cioè quella di creare classi più numerose, più difficili da controllare e con meno tempo educativo da dare agli studenti.
In qualche modo collegato al problema delle classi numerose, è l’altra lacuna della riforma, quella degli interventi sull’edilizia scolastica. Dopo i tanti proclami che seguono le diverse tragedie, siamo ancora in attesa di veder approvata l’Anagrafe dell’Edilizia Scolastica che dovrebbe mappare lo stato di salute degli edifici scolastici e programmare i relativi interventi. Invece, nel silenzio generale, la sua predisposizione è stata rinviata per l’ennesima volta con il recente decreto mille proroghe licenziato dal Governo. Questa era una priorità bi-partisan, veramente a favore delle famiglie, che una riforma che pretenda di definirsi tale non doveva ignorare.
Insomma anche questa riforma appare un ennesimo intervento settoriale, motivato per lo più da fattori di natura economica che da un serio percorso di analisi delle criticità del settore, seguito da un confronto con le parti interessate e una successiva individuazione delle priorità su cui investire. A mancare sembra che sia proprio l’idea di come si fa e come si gestisce una riforma.

Paolo Menis
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