29 Marzo 2010

La Relazione della Segretaria regionale all’Assemblea del 26.03.2010

Ma è il partito nel suo assieme, grazie all’attivismo e alle iniziative delle federazioni provinciali e dei circoli, che ha prodotto una quantità di lavoro sul territorio.
Ritengo inoltre corretto informare l’assemblea che, durante questo ultimo mese, su richiesta del segretario nazionale, delle organizzazioni regionali e provinciali di varie parti d’Italia, ho garantito la mia presenza in occasione di iniziative connesse alla campagna elettorale in corso.
Annovero tra i risultati positivi del Partito l’approvazione dello Statuto regionale. Nonostante le frizioni che si sono manifestate, questo fatto rappresenta tuttavia un punto fermo che dà certezza di regole alla vita interna del partito. Attendiamo con serenità eventuali rilievi dalla Commissione di Garanzia nazionale.
Qualunque analisi sulla situazione del Friuli Venezia Giulia non può prescindere da una valutazione preliminare sull’azione del Governo, le cui ripercussioni si fanno sentire in modo rilevante sui territori.
La stessa impostazione della campagna elettorale nelle regioni tende, da parte del Governo, a spostare il fuoco dell’attenzione dai problemi specifici a uno scontro di carattere ideologico, con inquietanti implicazioni sulla tenuta democratica. Ma di questo problema e degli effetti del voto regionale discuteremo, come annunciato, nella prossima assemblea.
L’inerzia e il semplicismo espressi dall’azione del Governo Berlusconi si manifestano anche nella guida dell’amministrazione regionale da parte della Giunta Tondo che, in più, non può nemmeno avanzare l’alibi di una campagna elettorale.
E se è vero che la volontà e la capacità riformatrici di un’amministrazione si dovrebbero dimostrare nei primi anni dalla vittoria elettorale, possiamo fondatamente sostenere che nulla di tutto ciò è stato fatto, anzi nemmeno impostato.
Siamo di fronte a un’assenza di idee, a un vuoto di proposizione, che si somma alla spregiudicata e premeditata aggressione all’impalcatura sociale sotto la pressione e il ricatto della Lega, un partito i cui dirigenti non esitano a distorcere e umiliare a proprio tornaconto perfino quei valori cattolici di cui si accampano come difensori. Ne risulta lo sfiguramento dell’immagine di una Regione che da sempre, per la sua posizione e per la sua storia, si è dimostrata accogliente e propositiva e che ora si vorrebbe invece chiusa e ostile al nuovo e alle diversità. Insomma, una Regione che sta camminando contro se stessa e la sua identità.

Non solo, appare grave non si sia voluto prendere atto che la situazione è straordinaria e che la crisi è senza precedenti. Una crisi che si vuole invece affrontare solo con mezzi ordinari.
Grave la debolezza della giunta evidenziata dalle continue impugnazioni dei provvedimenti legislativi regionali da parte del Governo, grave la sudditanza psicologica di una regione che accetta di essere periferia di Roma, gravi e nocive le incomprensioni, anche recenti, con la Slovenia.
Si aggiunga un’insufficienza acclarata della giunta nel suo complesso, attraversata da divisioni e contraddizioni, dai limiti degli assessori cosiddetti “del presidente” usati come schermo di una politica debole e incerta, quasi che Tondo preferisca non esporre se stesso in prima persona su temi di particolare impegno.
I limiti strutturali della giunta e della maggioranza che la sostiene avrebbero fatto meritare una bocciatura anche in una situazione che non fosse di emergenza, ma si rivelano addirittura pericolosi nel tempestoso frangente economico.
Riconosciamo tuttavia alla giunta di aver impegnato, anche su pressione del Partito democratico, risorse per gli ammortizzatori sociali e il varo del pacchetto anticongiunturale, che a un primo bilancio si rivela non soddisfacente. Le riconosciamo anche di aver impugnato di fronte alla Consulta la legge finanziaria nazionale del Governo Berlusconi per il mancato trasferimento alla Regione delle compartecipazioni del gettito Irpef del reddito dei pensionati Inps. Anche questo su nostro impulso.
Vorrei porre in evidenza che, in tutte le crisi precedenti, i governi regionali hanno saputo mettere in campo proposte ed iniziative unitarie che ci hanno fatto uscire rafforzati da quelle congiunture. Oggi invece dobbiamo constatare che la giunta stagna in un clima di passiva attesa.
Al di là del freddo dato economico, preoccupa il clima di incertezza e paura che si sta insinuando nella comunità regionale, in parte dell’imprenditoria ancora in campo che, in mancanza di prospettive, pensa di ritirarsi e chiudere; o tra le varie categorie di professionisti, commercianti e artigiani, che per la prima volta devono affrontare una crisi che non ha precedenti e di fronte alla quale sono disarmati. Si tratta di categorie che hanno rappresentato tanta parte dello sviluppo della nostra regione negli anni precedenti, di risorse e energie che oggi sono in buona parte trascurate e alle quali la comunità regionale non può rinunciare.
Un capitolo dolente particolare è rappresentato dal colpo che subisce la scuola, sia sotto l’aspetto dell’offerta formativa, sia per l’umiliazione inflitta ai docenti di ruolo, ignorati dalla riforma, sia per il destino dei precari che saranno quasi certamente espulsi dal mondo del lavoro.
Dovrebbe poi rappresentare motivo di profonda riflessione per tutti il fatto che il sindacato udinese si sia sentito costretto a far sentire le ragioni dei lavoratori attraverso forme di lotta quale lo sciopero generale e la pubblica manifestazione. E’ un segno forte, che ci dice come sia stato raggiunto e superato un fisiologico limite di malessere.
Bisogna invertire questo “stato d’animo” e produrre lo sforzo necessario a mobilitare tutte le energie disponibili.
Questa analisi non vuole concedere nulla al pessimismo, ma riflette largamente il giudizio degli attori sociali e intende proporsi come premessa a qualunque serio tentativo di affrontare realisticamente e pragmaticamente la crisi. La situazione non consente infatti di formulare proposte di governo calate astrattamente e centralisticamente dall’alto, e che prescindano da un serrato confronto con il tessuto regionale.
Occorre apprestare gli strumenti adeguati, riattivare le componenti sociali e politiche, per ripensare e ritrovare quello spirito unitario che ha animato la ricostruzione e che ancora oggi rappresenta una ricchezza per tutta la Regione. Questa esigenza viene avanzata anche dalle organizzazioni sindacali e dalle categorie economiche, con l’obiettivo di ricostruire le condizioni per un nuovo sforzo comune, ma di fronte a queste richieste la Giunta tace.
Il Partito democratico non ha il compito di dare tutte le risposte, ma ha il dovere di proporre un metodo tendente a coinvolgere la platea sociale più ampia possibile, che concorra a definire un progetto capace di ridare speranza.
In Friuli Venezia Giulia, il quadro dell’occupazione presenta risvolti estremamente preoccupanti, come in questi giorni ci ha ribadito l’Istat: una perdita di 14.000 posti di lavoro tra il 2008 e il 2009, che nel rapporto tra quarto trimestre 2008 e quello corrispondente del 2009 mostra un livello di disoccupazione che cresce dal 4% al 5,9% di fine anno 2009.
Opportuno in tal senso l’intervento di quanti hanno denunciato la fine della possibilità, per più aziende, del ricorso alla Cig e alla mobilità, l’aumento delle crisi societarie e le chiusure di stabilimenti, la crisi degli ordinativi, le ristrutturazioni che si annunciano anche in imprese solide.
La priorità è dunque il lavoro. E deve essere affrontata a partire dalle cose che si possono fare subito, cioè prendere misure amministrative che permettano di procedere all’immediata cantierabilità delle opere pubbliche, come proposto in un recente convegno promosso dal gruppo consiliare provinciale del PD di Udine. In contemporanea bisogna proporre tutte le misure che consentano agli artigiani e ai piccoli imprenditori di essere competitivi nelle gare di appalto, ciò che ora è loro sostanzialmente impedito.
Dobbiamo chiedere con forza una maggiore attenzione nei confronti di questi piccoli, la cui crisi fa meno notizia e che spesso non sono considerati degni di interlocuzione dalla politica, ma che rappresentano una risorsa insostituibile per il nostro tessuto produttivo.
Una ricchezza specifica è data dal particolare rapporto, di alleanza, dell’impresa con i dipendenti, il cui insieme genera un pezzo dell’identità sociale del territorio. In assenza di proposte credibili, questi ceti produttivi sono facile e naturale terreno di conquista della demagogia leghista: ci dobbiamo impegnare di più su questo fronte, se vogliamo radicare davvero il nostro partito.
Sono necessari strumenti straordinari per la microimprenditoria, che non deve salire alla ribalta solo quando si suicida un artigiano, e le cui associazioni lanciano appelli continui alle istituzioni e alla politica.
Sul welfare riconfermiamo il giudizio più volte formulato: siamo di fronte a un arretramento, anzi a una deliberata demolizione di quanto costruito dalla giunta precedente. E’ una politica giocata sulla divisione e sull’egoismo sociale, che può riscuotere qualche successo nel breve periodo ma i cui contraccolpi non mancheranno di farsi sentire su tutto il corpo sociale, dal momento che la creazione di crescenti sacche di emarginazione e disperazione determina un malessere i cui costi andranno inevitabilmente a pesare sul futuro dell’intera comunità.
Non dobbiamo affrontare questo problema come una questione di assistenza a sé stante, ma dobbiamo pensare a un welfare del futuro che punti al sostegno delle famiglie e al recupero dell’individuo, aiutando economicamente dove serve, ma cercando sempre di inserire la persona nella comunità, con un percorso di riqualificazione, insegnandogli non a sopravvivere ma a tornare a vivere all’interno della società. Il pericolo dello smembramento sociale tocca fasce più larghe di quelle intercettate dalle statistiche, perché molti sono i colpiti da un rischio diverso e forse più subdolo di quello di essere poveri nella sostanza, e cioè quello di “sentirsi poveri”, finendo per diventare succubi di una situazione di soggezione alla paura.
Un certo automatismo ha fatto sì che i problemi dell’immigrazione, e conseguentemente quelli dell’integrazione, fossero assimilati al vasto concetto di welfare. E’ la linea più semplice e dunque quella preferita dalla Lega, anche perché insinua paura, invidia e divisione tra gli stessi soggetti deboli. Fermo restando che il punto dei diritti non è trattabile e che il piano delle competenze è nazionale ed europeo, dobbiamo ribaltare questa impostazione. La questione dei grandi flussi migratori che attraversano il pianeta, e di cui il nostro Paese e la nostra regione sono un tassello, richiede un approccio scevro da pregiudizi e strumenti di analisi adeguati.
Sono questioni sulle quali noi dobbiamo incalzare la giunta regionale con iniziative sul territorio, sforzandoci di parteciparle anche al di là dell’ambito del Partito democratico e usando in Consiglio regionale tutti gli strumenti a nostra disposizione, per obbligare il centrodestra a confrontarsi in Aula con le nostre proposte di legge, costringendo la maggioranza a pronunciarsi con un sì o con un no.
Accanto a queste emergenze più immediate, l’agenda politica ci propone altre questioni, quali la riforma della legge elettorale, la riforma degli enti locali e la riduzione delle spese della politica. Sono argomenti sui quali dobbiamo confrontarci anche all’interno delle articolazioni del Partito. Sulla legge elettorale, sia chiaro già da ora che alcune di quelle conquiste, che hanno raggiunto dignità di rango costituzionale come la parità di genere, sono diritti non trattabili.
Non possiamo accettare la proposta di eliminazione del ballottaggio nei comuni sopra il 15mila abitanti, né quanto si ventila in parte del centrodestra in merito al terzo mandato ai sindaci nei comuni sopra i 5mila abitanti. Va chiarito che tali questioni non sono affatto emergenze, ma vengono sollevate artificiosamente dal centrodestra in vista di suoi interessi particolari, e ciò conferma la lontananza dei loro dirigenti dai veri problemi della comunità. Sono solo alcune delle questioni sul tappeto, che dovremo affrontare assieme ad altri nodi. Uno di questi, penso sia la rimozione della norma che impedisce ai sindaci di candidare al consiglio regionale senza rassegnare preventivamente le dimissioni.
La stessa proposta di riforma degli enti locali, che avevo auspicato nella relazione d’insediamento, è stata annunciata oltre un anno fa dalla Giunta ed è tuttora formalmente inesistente. Apprezzabile perciò, in proposito, lo sforzo del gruppo consiliare che ha depositato un progetto di legge frutto anche dell’esperienza della legislatura precedente e del lavoro svolto con gli amministratori dei comuni montani. Certo sarebbe stato preferibile, come peraltro chiesto, un passaggio attraverso gli organi di partito e un coinvolgimento a monte di tutti gli amministratori locali.
Il rilievo strategico delle elezioni amministrative del 2011, una sorta di verifica di medio termine che chiamerà alle urne oltre un terzo del nostro elettorato, impone anche a questa assemblea di farsi carico del sostegno alle scelte che faranno in piena autonomia le singole assemblee provinciali, ma che dovranno essere coerenti con alcuni punti programmatici che definiremo assieme qui e che rafforzeranno l’identità del PD regionale. Decine di comuni piccoli e di livello mandamentale, due province, due capoluoghi tra cui quello regionale rappresentano un test elettorale particolarmente significativo anche in vista delle elezioni del 2013, per verificare la capacità di attrazione del PD dentro e al di là dello schieramento di centrosinistra. E nel brevissimo termine, non dobbiamo sottovalutare le scadenze amministrative del prossimo maggio. In obbedienza alla nostra natura di partito federale e federato e alla realtà di una regione policentrica, non credo dobbiamo attribuirci ruoli dirigisti sui territori, ma proporre un metodo che privilegia la definizione delle linee politiche, dai programmi alle alleanze, attraverso un ampio e approfondito confronto dentro gli organi del partito corrispondenti ai vari livelli istituzionali. Se tutti condividiamo questa impostazione e questo metodo, peraltro previsto dallo statuto, qui siamo nel luogo dove si discutono e si decidono gli indirizzi di fondo del partito, che potranno dispiegarsi, con la dovuta flessibilità ai vari livelli istituzionali dove il PD ha eletto i suoi rappresentati. Questo metodo richiede un franco confronto tra di noi e la capacità di decidere secondo le regole della democrazia che ci sono proprie. E’ ovvio che il segretario, cui spetta l’onere della proposta e quello della sintesi, farà ogni sforzo possibile per giungere a decisioni, qualora non unitarie, il più possibile condivise. Resta inteso che, quando decideremo attraverso il voto, esso non potrà essere interpretato come vittoria o sconfitta personale o di gruppo. Sarei preoccupata se derogassimo da questo metodo, perché altre strade potrebbero portarci a rendere meno efficace l’azione complessiva del partito e a dare un’immagine esterna di divisione anziché di unità d’intenti e di obiettivi, che è la forte richiesta espressa da iscritti ed elettori.
Sempre nella relazione d’insediamento, avevo lanciato la proposta che il nostro riformismo si concretizzasse attraverso una conferenza programmatica che guardasse al 2013. Avevo individuato questo strumento per lanciare la nostra sfida al centrodestra e costruire una proposta di governo da offrire alla regione, capace di entrare in relazione con la società capillarmente e in modo convincente.
Iniziamo dunque questo percorso. Il partito, attraverso i suoi organi, promuova una fase di ascolto con i soggetti rappresentativi, individuali e plurali, che intendono pensare al futuro in relazione alle loro rispettive problematiche. Esistono innumerevoli competenze ancora trascurate o ignorate da un centrodestra sempre più autoreferenziale.
Dovremmo investire su queste risorse, coinvolgerle e renderle co-protagoniste nella costruzione del nostro specifico modello sociale di sviluppo: sarebbe un investimento sulle nostre comuni radici, un modo di rispondere al bisogno di un’identità locale a confronto con quella globale.
Assieme agli altri attori sociali e alle forze politiche con cui riterremo possibile aprire il dialogo, dovremmo riuscire a formulare un progetto condivisibile, una sorta di blocco politico-sociale che ci consenta di essere competitivi e vincenti nel 2013.
Nel 2013 celebreremo anche i 50 anni dall’approvazione dello Statuto. Nonostante gli inevitabili e opportuni mutamenti, l’impalcatura che regge l’istituzione regionale è rimasta sostanzialmente uguale a se stessa, a fronte delle rivoluzioni che hanno segnato l’ultima metà del secolo scorso, tanto che oggi da più parti ne viene deprecata la macchinosità, messa in discussione l’efficienza e percepita nel suo complesso come un freno allo sviluppo.
La parola d’ordine deve essere l’innovazione, sotto la cui insegna si era caratterizzata la giunta Illy. Portiamo con noi il meglio di quell’esperienza, ma riattiviamolo senza nostalgie e senza pregiudizi.
Il ruolo dell’innovazione deve essere al tempo stesso industriale, sociale e istituzionale, in modo da garantire la sostenibilità nel tempo del modello di sviluppo locale, attraverso la sua competitività. Non può però essere un paradigma che prescinde da dinamiche consolidate: rimarremo una regione a grande vocazione manifatturiera e in questo settore dobbiamo proporci di rimanere ai livelli alti nella competizione globale. Questo cambio di passo è possibile se sapremo diventare attrattivi per imprese esterne che già occupano quel rango e che devono poter vedere il vantaggio di insediarsi nella nostra regione.
L’attrattività di un contesto socioeconomico non è questione di incentivi, che non ci sono più, o di zone franche o di altri tipi di privilegi. E’ data dall’efficienza complessiva del sistema, dalla presenza di centri di ricerca, dalla qualità dei servizi, da un sistema infrastrutturale adeguato a una area vasta e progredita dell’Europa centromeridionale.
Scuola e università devono puntare a essere strutture di eccellenza, senza dar luogo a incomprensibili doppioni di offerta didattica e formativa, e le istituzioni del territorio devono accompagnare gli atenei regionali nella corretta direzione della collaborazione e dell’integrazione. In questa ottica, è necessario opporsi con forza al taglio, da parte del Governo, delle scuole di specializzazione medica che ci sono in regione.
Quello delle infrastrutture è il nodo discriminante per poter scommettere sullo sviluppo della Regione. Ma è altrettanto vero il fatto che non è in gioco solo il Friuli Venezia Giulia, dato che l’isolamento di questo territorio rappresenta un’autentica strozzatura per l’Italia nel suo complesso. In mancanza della necessaria infrastrutturazione, il nostro Paese corre il rischio di trovarsi isolato da una parte importantissima del resto d’Europa, decisiva anche perché destinata a crescere impetuosamente.
La recente presentazione del progetto Unicredit sul sistema portuale regionale costituisce un’occasione storica in cui dei soggetti privati si dicono pronti a investire ingenti capitali che potrebbero fare dell’intero Friuli Venezia Giulia una piastra logistica. Il ruolo del Partito democratico dovrebbe essere quello di virtuoso stimolatore dell’attuazione trasparente da parte della Regione di un ruolo di coordinamento istituzionale. Non si deve fraintendere il senso dell’operazione e supporre che si tratti di un investimento che riguarda solo Trieste e Monfalcone, perché la sua realizzazione determinerà un vantaggio per l’intero tessuto regionale. Soprattutto se agirà anche da stimolo nei confronti della Giunta regionale e delle doverose iniziative nei confronti del Governo nazionale, in relazione alla realizzazione dei Progetti Prioritari che riguardano direttamente il Friuli Venezia Giulia.
Un altro aspetto qualificante e innovativo credo sia quello di imboccare con decisione la via della green economy: si tratta di un’opzione capace di portare benefici sotto il profilo ambientale ed economico, e di risparmio energetico.
Rilanciamo l’idea dell’amministrazione Illy per un programma di rapida diffusione della banda larga su tutto il territorio regionale, vigilando affinché la giunta si muova tempestivamente rispetto ai finanziamenti previsti dall’Unione europea.
Sono consapevole che questa traccia di lavoro non esaurisce il complesso delle problematiche regionali da affrontare nella conferenza programmatica, a partire dai nodi aperti della montagna, o dell’agricoltura, o della pianificazione territoriale, dell’Euroregione, o della cultura, sempre e ingiustamente relegata in una posizione ancillare.
Come procedere dunque?
Auspico che, a partire da questa seduta, si apra un confronto sul metodo e sul merito delle questioni da affrontare, in modo da ritrovarci nella prossima seduta di aprile nella condizione di approvare un documento che indichi tempi, forme, obiettivi e un responsabile della conferenza programmatica. Responsabile che non credo debba coincidere con il segretario.
Confido che il senso politico di questo invito sarà accolto, condiviso e arricchito. Per il bene del Partito democratico e della nostra regione.
Debora Serracchiani
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