8 Aprile 2010

Dopo l’esito del voto – Amministrative 2010

E’ inutile che facciamo finta di non vedere il peso delle regioni conquistate dal Centrodestra. Non sono pochi quelli che dicono che finché Berlusconi avrà il dominio delle televisioni potendo spadroneggiare su tutti i Tg e mettere il bavaglio ai giornalisti non asserviti, non avremo modo di vincere perché non siamo messi nelle condizioni di combattere ad armi pari. Io la penso un po’ diversamente. Penso che se da un lato sia assolutamente reale e intollerabile la sproporzione di forze in tv tra noi e il centrodestra (maledetta legge sul conflitto di interessi che non abbiamo avuto il coraggio di fare), d’altro canto mi pare riduttivo e insufficiente attribuire solo a questo fatto la causa della nostra inadeguatezza a vincere e convincere.
Vorrei ricordare che la lista di Beppe Grillo ha avuto un centesimo del tempo televisivo del Pd in tutta la campagna elettorale, per dire almeno che esisteva, e ha preso un sacco di voti comunque. Ben 400.000 voti raccolti in 5 regioni su 13!
Se avessimo il livello di efficacia comunicativa di Grillo avremmo potuto prendere almeno il 35% e non il 26 con le briciole dopo la virgola. Con questo non voglio dire assolutamente che dobbiamo sposare il grillismo. Ci mancherebbe (anche se non darei un giudizio sprezzante e liquidatorio sul movimento e le istanze di cui si fa portatore). Ma è del tutto evidente che la televisione non è tutto. Che, come Grillo insegna da tempo, il canale comunicativo del web è importante e va utilizzato per fare rete, non solo per mandare informazioni o fare vetrina. Dobbiamo capire che la consultazione aperta e dal basso è molto importante per rinnovare il linguaggio, per selezionare le idee‐forza, per testare le proposte programmatiche. Sminuire questo dato, che è in continua crescita, significa rimanere ai margini dell’innovazione politica. Rendiamoci conto che quell’8% di Grillo nella roccaforte della sinistra italiana ‐ l’Emilia rossa ‐ è da far tremare le vene ai polsi. Per non dire dell’aumento della Lega Nord proprio in quella regione e crescente (siamo al raddoppio dei voti!) anche nelle altre regioni del Centro Italia. E poi quel 4% in Piemonte dove Grillo ha decretato la nostra sconfitta parla da solo. Insomma gli altri ci stanno mangiando l’erba da sotto i piedi senza che noi ce ne accorgiamo. Ce ne accorgiamo solo alla prova del voto. Non solo la questione settentrionale è sempre più acuta, si sta estendendo al Centro Italia, ma i vertici continuano a minimizzare. Questo è grave!

La distribuzione del voto ci ha detto una cosa importante: il Centrosinistra è forte abbastanza nei grandi centri metropolitani, ma troppo debole in provincia, in periferia. E questo è un altro problema che dobbiamo risolvere con decisione. Non basta proclamare e invocare il radicamento del partito, dobbiamo farlo costruendo relazioni dal basso, quelle che fanno tessuto connettivo di idee e sensibilità comune, appartenenza e voglia di esserci e contare. Ma questo significa essere permeabili ai mondi vitali presenti nella società, nei territori, significa essere capaci di ascolto attivo e non puramente strumentale al momento della richiesta del voto.

Io credo che sia stato il mancato ascolto della base da parte dei vertici del Pd ad aver prodotto i tanti pasticci che per due mesi, ogni giorno, sono stati messi in bella mostra in tv sulla scelta dei candidati. Pasticci che hanno pesato moltissimo sull’umore dell’elettorato. Pasticci determinati dalle consorterie, da una linea ondivaga sulle primarie, da accordicchi fatti a tavolino specialmente con l’Udc. Tutto questo ha provocato astensionismo e una migrazione del voto verso i ranghi del grillismo, del dipietrismo e pure del leghismo.
Il Pd non ha saputo rischiare facce nuove né in Campania, né in Calabria dove il cambio di passo s’imponeva per le ovvie ragioni che Bassolino e Loiero hanno conseguito risultati negativi e guai con la giustizia nel corso del loro mandato. Per fortuna che alla fine in Puglia l’ha spuntata Vendola. Al suo posto se avessimo messo Boccia avremmo perso anche la regione pugliese (spero che, prima o poi lo riconosca anche D’Alema che si era opposto con tutte le sue forze alla candidatura di Niki). Nel Lazio lo scandalo Marrazzo ha penalizzato certamente il Centrosinistra, ma la timidezza del Pd a metterci la faccia con suo candidato nuovo, credo abbia pesato molto sull’esito finale. Ho rispetto per Emma Bonino. E’ stata una candidata volitiva e seria. Ha fatto bene a puntare sul rispetto della legalità e delle regole, sulla trasparenza come precondizione della buona amministrazione ma, per una quota parte di elettorato moderato del Centrosinistra, il suo credo radicale, principalmente su alcune questioni etiche, non era facilmente digeribile. Certamente, a tre giorni dalla consultazione elettorale, l’esternazione di mons. Bagnasco per cui non era bene votare Bonino, ci ha danneggiato. Tuttavia se è pur vero che questo può aver costituito un problema, va d’altra parte detto che, Emma Bonino non è stata un volto nuovo come la Polverini. Emma non può pensare ma soprattutto noi del Pd non possiamo pensare che altre figure navigate quanto lei possano essere buone per tutte le stagioni. Ancora una volta si torna, inevitabilmente, al nodo del rinnovamento della nostra classe politica.
Mi ripeto: l’astensionismo dilagante ha colpito soprattutto noi, non Berlusconi. Tanto meno Bossi che miete dove semina. La sua è una semente che crea perlopiù zizzania, cioè separatismo, esclusione sociale, localismo integralista, ecc, questo è verissimo (attenzione però a non identificare la Lega con il Male). Mentre noi vogliamo e dobbiamo seminare cose buone capaci di produrre inclusione, sviluppo ecosostenibile, innovazione, crescita culturale del Paese, ecc. Tutto vero. Interroghiamoci, però, sul fatto che la nostra semente non ha ‐almeno per ora‐ la forza sufficiente per attecchire. Le nostre idee e i programmi mancano di incisività, non spiccano per qualità oggettiva e soprattutto per qualità percepita. Peraltro se non torniamo a lavorare il terreno in cui seminiamo, cioè a interessarci veramente del contesto socio‐culturale in cui la gente vive e opera, non produrremo granché.
Io credo che da qui al 2013 il Pd deve lavorare soprattutto su due fronti: Per un verso deve innovare profondamente il modo di elaborare il suo pensiero politico‐ programmatico, affinare un linguaggio credibile e comprensibile e padroneggiare il modo di comunicare, cose che hanno bisogno di una maggiore orizzontalità dentro il partito per esprimersi, e, per un altro verso, deve, senza alcun indugio, dare spazio di crescita a figure nuove e spendibili sul “mercato” della politica. Nel Pd di persone in gamba, di talento e qualità già ce ne sono, ma bisogna smetterla con le beghe interne e i conservatorismi personalistici dei soliti noti che le costringono all’angolo. Guardiamo in casa d’altri: tutto si può dire della Lega tranne che non abbia investito intelligentemente su un rinnovo della sua classe dirigente, e i risultati le danno sonoramente ragione. E’ vero che il PD in termini percentuali ha ridotto di molto il suo differenziale rispetto al PDL, ma solo perché quote significative di voto pidiellino si sono spostate verso la Lega. Vedo per il Pd una strada lunga e in salita. Facciamocene una ragione. Se nel 2013 vogliamo vincere, ciclisticamente parlando, bisogna correre con la pedalata del passista scalatore, ma anche pronti allo scatto del grimpeur. Speriamo, e penso in questo momento a Bersani, di vedere maggiormente la grinta del grimpeur che appassiona i militanti e convince gli elettori sfiduciati (sempre più lontani dalle urne), piuttosto che perseguire la strategia della calma andatura al motto “prima o poi al traguardo ci arriviamo”.

Che ci piaccia o no (sicuramente non ci piace per niente) la chiamata alle armi da parte di Berlusconi contro le forze del male (la fantomatica sinistra pancomunista da quindici anni a questa parte) ha ancora una volta funzionato, salvando il premier da una potenziale debacle che abbiamo sperato arrivasse e che non è arrivata. Il crollo del centrodestra francese non ha avuto la sua traduzione in Italia. La carismaticità del premier e di Bossi insieme “resistono” alle prove del voto al di là della povertà di risultati oggettivamente dimostrati dal governo.
Se penso alla Lega Nord, con il distacco sufficiente per vedere più chiaro, devo constatare che ha saputo presentarsi all’elettorato come una forza affidabile, non litigiosa dentro la coalizione, determinata nel lavoro di governo e per questo capace di convincere masse consistenti di persone al Nord e anche al Centro di tutte le estrazioni sociali (dagli operai agli imprenditori) stravincendo pressoché ovunque. Qualche eccezione clamorosa a dire il vero c’è stata. Penso alla sconfitta del ministro Castelli nella sua Lecco. Lì la Lega ha pagato i vizi tipici della politica politicante che pensa di vincere a mani basse solo perché cala il nome grosso, anche se poi di quella comunità, il nome grosso, non se ne occuperà perché troppo occupato a Roma a fare il parlamentare. La gente capisce queste cose e non perdona. Idem con patate a Venezia dove Brunetta pensava di sbaragliare il campo dall’alto (si fa per dire) della sua statura di ministro “fanttuttone” e invece le ha prese di santa ragione dai suoi stessi amici veneziani. Attenzione che queste sono lezioni che valgono per tutti. Il voto alla Lega, come confermato in Veneto, è comunque preoccupante soprattutto perché è espressione di un voto cattolico profondamente secolarizzato nei contenuti, e compatto nell’attaccamento a una tradizione “de noialtri” consolatoria che ha ridato identità e sicurezza a un popolo un tempo “bianco” ed ora “verde”, come ha ben spiegato il sociologo Ilvo Diamanti su Repubblica. Il PDL non è in salute e il premier per primo lo sa bene. Le lotte intestine non rimarranno tali a lungo perché altrimenti la Lega continuerà a crescere. Sarà da vedere come continuerà il duello con Fini e i suoi seguaci. Comunque sia Berlusconi, con questo risultato, è nelle condizioni psicologiche e politiche per rimettere in ordine il partito e di premere sull’acceleratore delle sue priorità di governo. Nell’ottica del “do ut des” Lega e PDL si sosterranno a vicenda. O meglio, Berlusconi avrà man forte da Bossi sulla questione Giustizia e Bossi da Berlusconi sul Federalismo. Gli effetti della crisi economica saranno trattati se proprio sarà inevitabile. In tal senso PD e alleati all’opposizione devono invece ogni giorno battere il ferro della crisi non risolta per continuare la scalata.
Che dire dell’UDC di Casini, più croce che delizia per il Pd. E’ stato utile al Centrosinistra in Puglia perché ha scelto il terzo forno della Poli Bortone, in Liguria appoggiando Burlando, nelle Marche sostenendo Spacca e in Basilicata schierandosi con De Filippo, mentre non si è rivelato un valore aggiunto in Piemonte dove ha portato meno consensi del previsto alla Bresso. Viceversa è stato utile al Centrodestra in Campania, in Calabria e nel Lazio. Laddove l’UDC è andato da solo ha dimostrato che non sarebbe stato comunque decisivo né per il Centrosinistra (come dimostrano i risultati in Toscana in Emilia Romagna e in Umbria), né per il Centrodestra (come dimostrano i risultati in Veneto e in Lombardia). In altri termini, nelle roccaforti dell’uno o dell’altro schieramento l’apporto dell’UDC non è stato decisivo. Casini è un “soddisfatto frustrato” perché se da un lato in 7 Regioni su 13 ha vinto facendo vincere, dall’altro constata che il bipolarismo non è stato incrinato come lui avrebbe voluto; che Berlusconi non è in crisi e che non potrà stare in mezzo al guado per troppo tempo ancora. In vista del 2013 dovrà decidere con quale schieramento allearsi. Le terze vie non fanno strada (anche perché con l’API di Rutelli il Centro non vola verso traguardi credibili).

Il PD deve giocare all’attacco. Esibire le sue carte sulle riforme per dimostrare ai suoi militanti, ai suoi elettori e al Paese di essere effettivamente un partito riformatore e che il Centrodestra di Berlusconi è costretto a inseguire dimostrando di saper governare, se n’è capace. Mi permetto di dire che bisogna far vedere le nostre proposte in merito alla riforma fiscale, la giustizia, la scuola, la politica economica e di welfare, le riforme istituzionali. In particolare:

•dobbiamo dire ai giovani che ingrossano le fila dei disoccupati quali sono le nostre proposte per uscire dalla crisi economica ed occupazionale. Con quale politica industriale, con quale innovazione nella scuola e nella formazione universitaria e professionale.

•dobbiamo dire agli imprenditori delle piccole e microimprese come concretamente li vogliamo sostenere, senza forme di assistenzialismo, ma aiutandoli ad aggregarsi e a innovarsi.

•dobbiamo dire come vogliamo sostenere la famiglia, affinché faccia figli sapendo che c’è una rete di servizi e un sistema di detrazioni che l’aiutano veramente. E lo stesso ai pensionati.

•se le tasse Berlusconi non le ha diminuite, ma aumentate, è giusto dirlo a chiare lettere alla gente, ma tocca anche dire cosa abbiamo in mente di fare noi affinché si realizzi il principio “pagare meno, pagare tutti”.

•la questione energetica è strategica. Siamo contro il nucleare. Va bene. Ma dobbiamo prospettare coerentemente una politica energetica di grandi investimenti sulle fonti alternative e contemporaneamente misure efficaci per il risparmio energetico su vasta scala (edifici pubblici e privati da Nord a Sud).

•dobbiamo dire con quali nuove misure intendiamo regolamentare il flusso degli immigrati, garantire loro condizioni di integrazione tenendo conto dei diritti umani a loro dovuti e pretendendo il rispetto dei doveri che le leggi prescrivono. E’ una questione di civiltà che chiede scelte di sistema perché investono gli ambiti della scuola, del lavoro, della sanità, della casa e dei diritti di cittadinanza.

•il tormentone di Brunetta sul “fannullismo” nel pubblico impiego lo dobbiamo combattere, ma dobbiamo pretendere un assetto dell’apparato pubblico che sia efficiente, in cui il merito torni a contare, in cui la valutazione del lavoro svolto sia trasparente e rigoroso. Tutte le rendite di posizione e ogni forma di privilegio improduttivo sono inaccettabili soprattutto perché ingiuste verso chi fa il proprio dovere fino in fondo.

•sulla scia di questo principio, dobbiamo essere in prima linea contro ogni forma di condono, lassismo verso coloro che si fanno beffe della legge e delle regole del gioco. Inflessibili contro ogni forma di evasione fiscale e contributiva.

•la riforma della giustizia non ci deve vedere giocatori di sponda. Va bene condannare ogni provvedimento ad personam che il premier tenterà di far passare, ma dobbiamo anche proporre un assetto che dia certezza della pena, tempi ragionevoli nello svolgimento dei processi, un’organizzazione efficiente e dotata di strumenti innovativi per poterlo diventare e puntare sulla massima qualificazione dei giudici e dei magistrati.

•sui diritti civili (unioni di fatto) e le questioni della biopolitica (rapporto scienza e tecniche sulla vita) non dobbiamo avere paura del confronto interno e con il centrodestra per cercare una via laica ad un nuovo personalismo senza perpetuare guerre ideologiche anticlericali.

Molto altro ci sarebbe da dire, ma non tutto si può racchiudere in un solo discorso. Ciò che mi sta a cuore è la consapevolezza che c’è tanto da lavorare, con la massima apertura al dialogo, alla discussione, alla condivisione dentro il Pd a tutti i livelli.

Ultima cosa. Di tutto abbiamo bisogno tranne che di altra instabilità. Nessuno pensi, perciò, di mettere in discussione Pier Luigi Bersani scelto democraticamente da oltre tre milioni di elettori a guidare il partito. Dicasi lo stesso per Debora Serracchiani chiamata a guidare il Pd in regione.

Giovanni Ghiani
Segretario del Partito Democratico di Cordenons

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