20 Aprile 2010

La relazione della Segretaria regionale all’Assemblea regionale del 16 aprile 2010

Dovremmo invece essere in grado di cogliere, questa volta tempestivamente, il messaggio che ci giunge dall’affermazione delle liste di Grillo in Emilia Romagna e in Piemonte. La fascia dello scontento nell’elettorato di centrosinistra non viene più riassorbita al momento del voto (come parzialmente è avvenuta durante il periodo dei Girotondi) , e, quando non è astensione tout court, si scarica su un movimento organizzato che sa proporsi come rottura di sistema e che viene considerato da una parte di elettori degno di investimento.
Non vorrei che anche questo fenomeno venisse sottovalutato, guardandolo con una supponenza astratta, al modo in cui abbiamo fatto con la Lega. Se non interveniamo con una forte correzione di rotta politica che ci ridia identità e forza attrattiva, non so cosa potrebbe rimanere di un PD sottoposto a erosione da tutti i lati: dalla Lega, da movimenti vari, e da Grillo, Di Pietro, Vendola, che assieme hanno raccolto circa il 15% contro il 26,1% del PD. Di fronte a questa offerta diversificata, serve un PD con una forte identità.
Nonostante Berlusconi perda 2,5 milioni di voti, noi ne perdiamo quasi 1. Sono in grave crisi i due assi del bipolarismo su cui si è tentato di costruire il rinnovamento della politica italiana: assieme raggiungono a stento il 50% dei votanti e un terzo degli elettori.
Lo smottamento che sta avvenendo dentro il partito del presidente del Consiglio ha delle caratteristiche che minacciano di far tornare il sistema della rappresentanza alla polverizzazione che aveva caratterizzato gli ultimi anni della prima repubblica. Ciò si verifica perché le basi su cui il Pdl era stato costruito erano una risposta tattica all’iniziativa politica intrapresa da Pd quando è stata formulata l’idea della sua vocazione maggioritaria.
Non possiamo che guardare all’esplodere di queste contraddizioni come a un fatto positivo, in quanto permette di fare chiarezza all’interno del centrodestra, e crea i presupposti per una ripresa del dibattito politico anche dentro quel campo. Questo episodio non deve tuttavia far illudere sull’indebolimento delle forze che attualmente governano lo Paese. Mentre il Paese ha bisogno di una politica per uscire dalla crisi economica e delle riforme, non dobbiamo escludere che questa maggioranza avalli scelte che potrebbero aprire scenari inquietanti.
Tutto ciò avviene all’interno del centrodestra indipendentemente dalla nostra azione politica. Un fatto preoccupante. Infatti, anche se non è facile trovare spiegazioni esaustive, penso che il voto vada letto nell’ambito di un trend discendente del Pd e del centrosinistra.
Non è nell’ingegneria organizzativa che possiamo pensare di trovare la risposta a questa crisi, perché l’attitudine a rifugiarci nelle formule è proprio uno dei mali che ci affliggono, e dunque non può essere la cura.
Se siamo d’accordo sul punto che la risposta non può limitarsi alla riorganizzazione, allora poniamoci seriamente il problema dell’identità e del programma: i due punti che, in larga parte, siamo d’accordo nel riconoscere come quelli su cui occorre impegnarci fin da subito. Sono le cose più importanti che ci chiedono quelli che ci votavano.
Se è vero che le riforme istituzionali sono importanti, sicuramente non sono il problema che i cittadini sentono più impellente a attraverso cui ridiamo loro una speranza. Se il Pdl ha una proposta, la porti in Parlamento e ne discuteremo, senza aprire tavoli o parlarne in altri luoghi non istituzionali.
Sui temi fondamentali abbiamo bisogno di un documento su cui confrontarci, di una posizione di sintesi del PD, chiara e comprensibile, per portare avanti da lì la nostra battaglia nella società. Seguendo i percorsi propri del partito, questo può essere il metodo per lavorare anche sulle urgenti questioni del lavoro, del fisco, della sicurezza. Potrebbe essere il metodo, ad esempio, per aprire un fronte duro sulla giustizia sociale.
Se il Partito Democratico è spesso percepito come una sommatoria di comitati elettorali, piuttosto che un riferimento organizzato con una identità e con un progetto definito e visibile, la responsabilità non può essere attribuita a Bersani, che deve invece essere aiutato a fare scelte forti. Vorrei ricordare che lo stesso Bersani ci ha detto che “il Pd non è riuscito a intercettare la crisi del centrodestra perché non siamo stati percepiti come un’alternativa credibile”. Dobbiamo ritrovare quella credibilità, attraverso la ricerca di una identità fatta di contenuti politici. Saranno questi ad avere poi i loro riflessi sul piano organizzativo, non dobbiamo sperare che i contenuti scaturiscano da una riorganizzazione.
Perciò la discussione di oggi dovrebbe servire a dare il nostro contributo al confronto che si terrà domani in direzione nazionale.
Dovremmo far arrivare là un concetto che finora ha stentato a farsi strada nel partito nazionale, e cioè la specificità diversificata dei problemi del nord, rispetto al resto del Paese e viceversa. Penso che sia importante far capire a livello centrale che le stesse rispose non valgono allo stesso modo nelle varie parti d’Italia e che in questo risiede precisamente la “questione del nord”.
Se, ad esempio, parliamo del sistema produttivo del nord, questo pur nelle sue diversificazioni, è chiamato a misurarsi con i livelli alti dell’Europa e del mondo e non può accettare le siano applicate formule romano-centriche. Lo stesso quando parliamo di servizi e infrastrutture.
Il sud si confronta con altri problemi e altri contesti. Perciò, se, pur tenendo conto di ciò che il sistema Paese condivide e unifica, non diamo il giusto rilievo a queste differenze con proposte adeguate, non riusciremo mai a farci ascoltare dal nord.
Occorre parlare al Paese in termini unitari e articolati, perché l’articolazione del Paese non è un’invenzione della Lega, è un dato storico, sociale, economico e culturale. La Lega ha saputo trarre profitto da una congiuntura storico-politica e dalla crisi degli altri partiti.
Il dibattito sul partito federale, sul partito del nord o sulle declinazioni che questa idea può assumere, deve partire da questa realtà concreta e non può ridursi a un mero disegno riorganizzativo pensato dal vertice o anche dalla periferia. Negli ultimi 10 anni, in forme diverse, sono già state provate più volte questa strada, e sempre ci siamo arenati. Era l’approccio che non funzionava.
Da qua il senso della proposta di una conferenza programmatica, che ho formulato a livello regionale ma che credo sarebbe estremamente utile anche a livello nazionale, come peraltro previsto dallo statuto nazionale. Le idee che ho lanciato durante la scorsa assemblea intendono essere propedeutiche all’avvio del processo di cui il PD ha bisogno per ripartire a livello regionale con una proposta complessiva che ci dia le parole d’ordine sulle quali puntare per riconquistare ascolto e incisività presso la comunità ed evitare il declino della regione, come è stato scritto in questi giorni.
Lo spirito con cui ho proposto questa strada al PD del Friuli Venezia Giulia è lo stesso che ha animato il recente incontro avuto con il segretario nazionale Pierluigi Bersani. Prima della riunione dei segretari regionali e in vista della direzione di domani, ho infatti avuto un colloquio con Bersani, al quale ho confermato ampia collaborazione. Ho ritenuto assolutamente condivisibile il suo appello al superamento della mozioni e al lavoro condiviso.
Credo che l’ascolto di questo appello potrebbe essere molto salutare anche nella nostra regione, dove mi sembrano maturi i tempi perché il PD prenda definitivamente congedo dalla stagione congressuale.
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