27 Aprile 2010

Ermilio Taverna: oltre la crisi, quali politiche per il territorio?

In attesa di dati definitivi per il 2009, possiamo aspettarci un ulteriore calo anche per l’ultimo anno trascorso. Hanno tenuto le attività reali (case, terreni, ecc.), ma a prezzi costanti il valore della ricchezza netta per famiglia si è ridotto del 6,5 per cento, tornando sui livelli di inizio decennio. Il risparmio contribuisce con l’1% alla ricchezza netta degli italiani; tra il 2007 e il 2008, però, si è registrata una ricomposizione dei portafogli delle famiglie verso forme di investimento meno rischiose e più liquide. La quota di ricchezza finanziaria detenuta in depositi bancari e in risparmio postale è cresciuta, infatti, di quasi 4 punti percentuali.

Sul lato delle imprese, tre sono i casi che vengono presentati sulla base di una estesa analisi1: le imprese che non hanno investito in cambiamento negli ultimi dieci anni, diversificando prodotti e/o mercati, si sono trovate in profonda difficoltà a partire dal 2008. Tra queste le molte piccole imprese di subfornitura su cui si è riversata la ricerca di flessibilità da parte di imprese medio-grandi. Ci sono poi le imprese cha hanno avviato un cambiamento ma per sostenerlo si sono indebitate e sono state colte dalla crisi a metà del guado e rischiano ora di vedere compromessa la propria esistenza proprio in virtù della fase di transizione che stavano vivendo. Infine le imprese virtuose che oltre ad avere intrapreso un cambiamento vincente già prima dl 2007 sono ora nella posizione di potere addirittura beneficiare dal post-crisi. Si è prestata molta attenzione nel corso del 2009 sulle capacità di uscita dell’Italia dalla crisi, come una cruciale piattaforma di confronto sul futuro dell’economia italiana. Marco Fortis, ad esempio, ha giustamente colto l’occasione per ricordare la capacità di tenuta del sistema industriale italiano, soprattutto in termini di Made in Italy2. Se si effettua un piccolo esercizio di analisi sul comportamento finanziario negli ultimi 8 anni delle componenti chiave dell’economia nazionale (settore pubblico, famiglie, imprese), si può avere un’idea reale dei fattori di competitività e di zavorra dell’economia italiana. Ora, per l’Italia la situazione fotografata sembra mostrare segnali di sostenibilità sul lato dei risparmi delle famiglie (sebbene in diminuzione negli ultimi anni) e sul lato degli investimenti delle imprese (anche questi in diminuzione). Il debito pubblico ed il saldo commerciale con il resto del mondo (anche misurabile specularmente con il saldo delle partite correnti) segnalano invece una debolezza strutturale del paese (per il debito pubblico sappiamo poi che la situazione si aggrava in termini di debito complessivo che ha raggiunto il 106% del PIL nel 2008). La verifica sul lato della nostra capacità di ripresa sul lato manifatturiero è data dal saldo commerciale dei beni (ovvero la differenza tra export ed import di beni manufatti) che è sempre positiva nel periodo considerato e soprattutto attraverso il saldo dei beni riconducibili ai settori del Made in Italy, anche in questo caso sempre positivo rispetto al PIL. E’ dunque innegabile che molta della capacità di reazione dell’Italia possa arrivare dalla manifattura ed in particolare dai settori del Made in Italy. Ma occorre lavorare affinché questa capacità del Made in Italy superi due limiti importanti: il limite dimensionale di un tessuto di impresa fatto prevalentemente di piccole e micro imprese ed il limite della capacità innovativa della manifattura, che al di là della capacità dimostrata negli ultimi anni da imprese leader di medie dimensioni, dovrebbe essere affrontato come problema di trasferimento tecnologico verso l’intero tessuto manifatturiero. In sintesi, per intenderci: l’Italia ha un deficit delle partite correnti ma non per colpa della manifattura e dei sistemi specializzati di impresa che anzi fanno registrare un surplus! Abbiamo già ricordato che occorrerebbe lavorare però affinché si aprano ulteriori possibilità di espansione dei mercati, soprattutto verso l’Asia perché difficilmente si riparte da una domanda esclusivamente europea nel prossimo anno. Quello delle economie asiatiche dovrebbe diventare uno sbocco più consistente per il Made in Italy se si vuole far ripartire in modo vigoroso la domanda per i nostri prodotti, i dati segnalano che c’è ancora molto da lavorare. L’Asia rappresenta soltanto il 7% delle esportazioni complessive italiane nel mondo (dati del primo semestre 2009). Ovviamente si tratta di una sfida culturale per le nostre imprese (oltre che di capacità di arrivare su un mercato assai complesso per regole e prassi). Ci sono regioni meglio posizionate di altre (Lombardia, Veneto e Emilia Romagna) ma in generale ci sono ampi margini per lavorare su strategie di posizionamento dei prodotti, marketing e protezione della proprietà intellettuale. Box 1 – Declino o non declino: o meglio selezione e adattamento? Il dibattito sul declino nasconde spesso una verità: la crescente distanza tra le imprese virtuose e quelle in sofferenza. Le imprese con prestazioni migliori oltre a rimarcare una distanza più evidente (confronto per esempio alla fine degli anni ’90) rispetto a quelle più in difficoltà, aumentano anche le probabilità di riconfermare il loro successo, mentre quelle più marginali aumentano la probabilità di ripetere i loro cattivi risultati. Un comportamento che sembra non essere influenzato da differenze settoriali, segno evidente dell’importanza assunta dalle singole strategie d’impresa. Ma cosa ancora più sorprendente questo processo sembra essere valido anche all’interno delle aree distrettuali, luoghi per eccellenza deputati alla condivisione di risorse e conoscenze, e ad una maggiore omogeneità di comportamenti e performance (F. Guelpa e S. Micelli, 2007). Lo scenario economico provinciale La situazione attuale dell’economia regionale del Friuli Venezia Giulia e della Provincia di Udine conferma uno scenario di elevata criticità. La fase di cosiddetta ripresa oltre ad essere lenta (recente rapporto ISAE, febbraio 2010) rischia di essere contraddistinta da una elevata selezione sul tessuto di piccole imprese, soprattutto subfornitrici. Se misurata sul lato degli investimenti, attraverso l’approssimazione fornita dai prestiti alle imprese (dati provinciali della Banca d’Italia), la situazione per le aziende con meno di 20 addetti nella provincia di Udine ha fatto registrare una contrazione del 5,5% da dicembre 2008 a dicembre 2009. La situazione si è pero drasticamente aggravata per ciò che concerne i prestiti alla manifattura: -9,7%. La continuazione dunque di una debolezza della domanda colpisce ancora la manifattura della provincia e si riverbera con particolare intensità sulle piccole imprese. PRESTITI VIVI dic. 2008 – dic. 2009 Totale settore produttivo di cui: di cui: Industria manifatturiera Costruzioni Servizi Imprese con meno di 20 addetti Imprese con almeno 20 addetti Udine -5,0% -9,7% -1,7% -4,9% -3,4% -5,5% Pordenone -5,7% -10,1% -7,8% -1,8% -3,5% -6,3% Vicenza -7,6% -11,7% -4,3% -3,7% -4,4% -8,1% Reggio Emilia -8,1% -8,8% -0,7% -0,3% -6,4% -3,0% Bologna -5,1% -13,1% -2,5% 0,4% -3,4% -5,4% Prato -3,4% -11,6% -1,1% -0,1% -4,9% -3,1% Elaborazioni Antares su dati Bankitalia E, tuttavia sul lato del lavoro che la Provincia di Udine sta pagando le principali conseguenze della crisi globale, come attestano i dati sulla cassa integrazione (qui riparametrati sul totale regionale e confrontati con la quota di valore aggiunto manifatturiero in regione). Da una parte si conferma che si è trattato di una crisi che ha colpito in modo più duro proprio i sistemi manifatturieri; in secondo luogo, inoltre, ci sono sistemi manifatturieri che pur se gravemente colpiti (Reggio Emilia) non sembrano essere stati messi in ginocchio completamente come invece accaduto in altri territori (e tra questi anche le provincie friulane). E’ dunque una crisi manifatturiera che però ha colpito selettivamente soprattutto i sistemi più maturi e più specializzati in filiere a basso contenuto tecnologico. ore CIGO E CIGS industria su TOT regionale (2009) VA industria su VA regione Udine 42% 43% Pordenone 35% 36% Bologna 25% 26% Reggio Emilia 16% 36% Elaborazione Ciapetti su dati INPS e ISTAT La sfida industriale in Provincia di Udine Nel territorio provinciale ci sono al momento due scenari industriali abbastanza contrapposti al momento: da una parte quello che ruota intorno a investimenti anche esteri verso attività industriali pesanti (cantieristica, metallurgia, chimica) e che è esemplificato da ciò che sta accadendo nell’area dell’ Aussa Corno e che è contraddistinto da elementi di crescita dei fatturati e dell’occupazione (Sole 24 ore del 7 aprile 2010); dall’altra la situazione di grave involuzione del distretto della sedia, che esemplifica la sfida attuale di un’industria matura, contraddistinta in passato da coesione economica e sociale tipica delle aree distrettuali e con una alta presenza di piccole imprese. Questa contrapposizione se da un lato testimonia che ci siano ancora elementi vitali nell’industria locale, lascia però intravedere molte criticità sulla sostenibilità del modello industriale udinese sin qui conosciuto. Ed apre anche molte domande sulla sostenibilità del modello di sviluppo locale di qui ai prossimi dieci anni. Questi gli elementi problematici su cui vale la pena avviare un confronto: esiste un piano strategico industriale per il riposizionamento dell’economia manifatturiera udinese? esiste un piano di “perequazione territoriale” che permetta di affiancare alla crescita industriale dell’area Aussa Corno, ad esempio, anche un piano di sviluppo in termini di formazione per nuove competenze, trasferimento tecnologico verso nuove imprese, creazione di start up ad alta intensità di conoscenza, ecc., in modo da radicare le conoscenze che stanno confluendo, in virtù degli investimenti, sul territorio? quale ruolo dovrebbero giocare i servizi avanzati (servizi alle imprese, ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, ecc.) nell’evoluzione dell’economia della provincia? possono essere concepiti nuovi drivers dello sviluppo locale (imprese start-up, nuovi prodotti, nuove soluzioni tecnologiche, nuovi servizi)? In generale, il rischio di questa fase è che le attività su cui la concentrazione di risorse offre rendimenti remunerativi (e l’Aussa Corno esemplifica questa tendenza) possano spiazzare totalmente risorse rivolte a dare sostenibilità e futuro a specializzazioni storiche del territorio (Made in Italy, enogastronomia, ecc.). Occorrerebbe saper mettere queste due anime dello sviluppo locale sulla stessa bilancia. Ma per fare questo occorre una visione strategica del territorio. Per innestare quest’ultima non favorisce la situazione di una elevatissima frammentazione comunale in provincia. Anche se formule di Unione comunale non sono all’ordine del giorno, vale la pena spingere anche su aggregazioni istituzionali per dare “MASSA CRITICA” a porzioni di territorio che altrimenti rischiano di restare in balia di asfittici bilanci comunali. Sul versante della riqualificazione del Made in Italy (esemplificato dal distretto della sedia) occorrono programmi che sappiano permettere alle imprese di realizzare forme di aggregazione (reti) e di accrescere competenze di managerialità e innovazione. Senza questo tipo di salto culturale, il “passaggio epocale” evocato da molti si potrebbe concretizzare anche in una epocale selezione di imprese e forza lavoro. Ovviamente non si esce dal questa situazione trasformando tutti i lavoratori in imprenditori. Tuttavia, programmi che diano alle persone in mobilità e cassa integrazione una chance di pensare al loro futuro magari sotto un’altra lente professionale (piccola cooperativa?; piccola ditta di servizi?) dovrebbero essere l’oggetto di interventi finanziati con fondi della formazione professionale. Quali “drivers” per la ripresa? Sulla base delle considerazioni svolte sin qui è possibile ipotizzare e circoscrivere sinteticamente i seguenti driver su cui investire come politica economica della Provincia di Udine: nuove applicazioni: tecnologia già esistente convertita per essere utilizzata in settori diversi da quello originario; nuovi bisogni: settori capaci di soddisfare bisogni emergenti o in continua evoluzione; territorialità e creatività; green economy. I primi due drivers (nuove applicazioni e nuovi bisogni) necessiterebbero di “repertori sulle conoscenze tecnologiche” a disposizione dei laboratori regionali per potere permettere un incontro della ricerca con il mondo delle imprese. Occorrerebbe incentivare i momenti di incontro e confronto tra mondo della ricerca e mondo delle imprese, finalizzando però questa strategia alla produzione di nuovi prodotti innovative di nuove soluzioni di competitività. Da questo punto di vista il modello lanciato in Emilia Romagna (il modello “tecnopoli”) potrebbe essere adattato alla realtà friulana come modello di incontro tra ricerca ed imprese dei sistemi manifatturieri regionali. I drivers della territorialità e della creatività implicano che si possa fare della provincia di Udine un grande laboratorio per la messa in rete di tutte le attività del terziario che ruotano attorno ad una valorizzazione del territorio e che si possa creare anche una nuova stagione di attrattività verso il territorio in termini di “sistema turistico integrato” e di “distretto culturale evoluto”. Non mancano le risorse culturali a Udine. Ben diverso però è iniziare a ragionare in termini di sistema che opera non tanto per una “valorizzazione”, bensì per mettere quella cultura e quella ricchezza al centro di un vero e proprio programma di formazione e di investimenti pubblici e privati: solo un esempio molto approssimativo potrebbe esser offerto dalle prospettive di “repertorio digitale” dei beni culturali che potrebbero servire per iniziative di marketing del territorio, ma al contempo anche dare spazio di crescita a nuove imprese specializzate in tecnologie digitali. Il driver della green economy è la vera sfida dei prossimi anni. Bisognerebbe puntare, anche con incentivi (es: bonus volumetrico), sull’indice di prestazione energetica degli edifici. Occorre un piano provinciale che dovrebbe concentrarsi sul patrimonio edilizio, privilegiando la ristrutturazione e le imprese che qui lavorano aiutare le imprese semplificando le procedure e il rilascio dei permessi incentivare la creazione di posti di lavoro nella green economy. Necessità di formazione continua ai tecnici pubblici e privati perché si realizzi una corretta progettazione anche in termini di tecnologie. Bisognerebbe sensibilizzare le piccole aziende all’uso di impianti di micro-cogenerazione. Bisogna creare reti tra imprese mettendole in sinergia, per esempio il co-generatore, che è la tecnologia oggi più efficace anche senza necessità di incentivo, pur non ottimale per la singola imprese lo è incrociando più cicli produttivi. Le sinergie tra le imprese vanno incentivate. Si potrebbe seguire l’esempio del distretto della bioedilizia di Treviso come sistema di aggregazione dell’edilizia in chiave “green”. Conclusioni Si comprende, in generale che ciò che si potrebbe fare è soprattutto mettere a sistema capacità e risorse del territorio in uno sforzo complessivo di ripresa e riposizionamento strategico all’interno di una competizione che non si gioca più per porzioni di territori ma a livello di macroregioni europee (Picherri, Perulli, 2010). Oggi più che mai, infatti, fare sviluppo locale non significa ricadere in trappole “localistiche” ma connettere i livelli territoriali e le risorse che su essi risiedono in uno sforzo continuo di trasformazione e cambiamento non solo orientato alla crescita di investimenti di capitale ma anche di capitale umano, sociale e simbolico e di beni collettivi locali. Le politiche per connettere sono più complicate perché esigono dialogo e partecipazione di tutti gli attori di un territorio. Ma sono anche quelle che riescono ammettere in moto una vera azione collettiva che in questa fase storica permetterebbe ai territori ed al paese di scattare in avanti.

Dal Convegno del Gruppo Provinciale PD “ Oltre la crisi : Quali politiche per il territorio?” Udine 18 Marzo a cura di: Prof. Lorenzo Ciapetti Direttore di ANTARES e Taverna Ermilio Cons. Prov.PD

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