«Questo Nordest è da disfare e rifare»
«Finora ci si è basati per calcolare i rischi su lavori degli ultimi 100-200 anni di storia di cui 70-80 misurati bene. Tutto funzionerebbe bene, ma…».
Cosa?
«Non si può credere, come fatto, che il bacino sia lo stesso. Non è vero. Abbiamo sfasciato il territorio».
Ma le piogge incredibili?
«La vera alluvione alla quale sottostiamo ogni giorno è quella della bruttezza di questa terra. Un fiume da solo non esiste. Occorre considerare tutto quello che lo accompagna; gente, vita servizi, viabilità. Non lo si fa».
600 millimetri di acqua è quella che cade in metà anno, se viene giù in due giorni?
«Il punto critico esiste sempre per un territorio. C’è una proporzione tra la durata degli eventi e il tempo idrologico previsto, cioè in quanto un bacino si riempie e si svuota. Il problema vero è un altro».
Quale?
«Gli ingegneri idraulici calcolano il tempo di ritorno di un evento, non la scadenza. Sappiamo qual è la media. Ma possono capitare due eventi previsti ogni mille anni anche in due anni successivi. È già accaduto in Colombia. Quello che si vede al Nordest è anche questo».
Colpa…
«Del territorio sfasciato, anche dal punto di vista etico. Un teologo veneziano don Germano Pattaro diceva che lo “spirito di povertà lo hanno solo i siori”, chi ha un alto tenore di vita cioè. E il Nordest ha avuto un alto tenore di vita. Nessun spirito etico verso il posto dove si viveva: via con l’asfalto, il cemento. Abbiamo trasformato in pietra il nostro territorio».
Rimedi?
«Ci sarebbero, ma prima bisogna capire guardando le mappe delle città degli anni ’70 e adesso. Tutto è città ormai e una piazza non ritornerà campo di frumento».
Sapere nostalgico…
«Goethe parlava delle meraviglie della strada tra Vicenza e Padova: guardiamola adesso. Non esiste il ritorno all’Arcadia e se dico questo è perché il problema idraulico non è scollegato da territorio e paesaggio: quello brutto voglio dire».
Soluzione, da scienziato?
«Occorre mettere mano al territorio, avere un’idea diversa di pianificazione territoriale e gli strumenti per capire questi eventi. Sapendo che non ci sono provvedimenti salvifici accettabili: non si riescono a fare invasi che possano contenere le tracimazioni enormi».
L’emergenza ormai è ad ogni stagione.
«La frequenza dei disastri è aumentata, si vede. Padova va sotto ogni anno? Devono fare un diversore per l’Arcella. Ma non c’è pianificazione: per regola prima si dovrebbero costruire le vie d’acqua e poi gli aggregati urbani. Niente di tutto questo».
Ma un rimedio ci sarà?
«Un patto tra ecologisti e capitale. L’ambiente naturale quasi non esiste più. L’urbanizzazione cresce del 5-7% all’anno. Ricordo che anche la laguna è state costantemente “costruita” e modificata, per esempio. Però nel giro di una generazione – se investi in cultura – tutto può cambiare. Non è solo questione di denaro»
Stop all’alluvione di bruttezza.
«E via ad un nuovo modello di sviluppo: occorre “disfare” una parte del territorio per poterlo rifare. Ed è un territorio che “vale tanto”, golene escluse. Non critico le agenzie che ci lavorano, sono eccellenze italiane. Però i fiumi si debbono pensare col paesaggio, coi valori culturali, con l’economia. I rimedi possono venire dal mercato e dagli ideali. Bisogna cominciare a crederci».
Adriano Favaro
Giovedì 4 Novembre 2010, Il Gazzettino