23 Agosto 2012

Si guardi lontano affinchè le amministrazioni diventino motore di sviluppo del territorio

Sul primo termine basta dire che, in assenza di risorse non solo finanziarie, “autonomia” è parola vuota. Non bastano tutte le leggi di questo mondo a garantire un potere decisionale fissato solo sulla carta, se a questo non corrisponde, nei fatti, anche la disponibilità dei mezzi atti a tradurre le deliberazioni in azioni concrete. Ciò significa, si perdoni la franchezza, che le regole della rappresentanza politica devono anch’esse stare all’interno di queste compatibilità poiché ne va della tenuta della democrazia stessa. I sistemi inefficienti, bloccati, autoreferenziali, caratterizzati da doppioni e sovrapposizioni di competenze (perlopiù solo nominali) producono opacità nella attribuzione delle responsabilità e generano lo scadimento della politica, con una sostanziale espropriazione del potere di controllo dell’elettore sull’eletto: epigoni non certo compatibili con chi si richiama a tradizioni riformiste.
Il ragionamento va però integrato dal concetto di sussidiarietà, perché altrimenti si riconduce tutto, come sembrano fare altri interventi espressi su questo giornale, ad un vincolo ragionieristico, che non tiene conto della necessità di ridare vigore e peso alla rappresentanza. A tal proposito, va ricordato una volta di più che la sussidiarietà non è stata pensata per garantire gli enti, ma per avvicinare al cittadino l’amministrazione, ove sia assicurata la adeguatezza di questa a svolgere i compiti che le sono attribuiti. In caso diverso, la funzione va collocata al livello di governo più appropriato ad esercitarla in un’ottica, appunto, di effettività delle prestazioni.
Se le cose stanno così, allora molte petizioni di principio poste a difesa della democraticità “naturalmente” insita nei diversi ordini degli enti locali perdono di senso, così come appare non lungimirante il tentativo di ricondurre tutto al primato della contabilità pubblica, perché dalla crisi anche la nostra comunità regionale deve uscire con un modello di sviluppo radicalmente diverso da quello praticato nell’ultima legislatura. Ricondotto ai valori propri di democrazia, autonomia e sussidiarietà, il disegno di riordino degli enti locali deve avere il coraggio di guardare lontano, perché le amministrazioni diventino finalmente un motore dello sviluppo e per questa via istituzioni capaci di rappresentare effettivamente i diversi interessi ed identità presenti nella regione.
Sulle dimensioni dei Comuni, ha ragione il vicedirettore del Messaggero: non servono soluzioni pasticciate, come quelle proposte per le unioni montane, ed è necessario avviare la concentrazioni di funzioni ed apparati in un unico soggetto. Quanto alle Provincie è vero che la riforma della Costituzione non è nelle mani della classe politica regionale, ma non è stato davvero un segnale di grande coraggio essersi opposti alla loro trasformazione in enti di secondo livello, usando la specialità per continuare ad applicare la disciplina elettorale prevista dalla legislazione regionale (elezione diretta del consiglio e del presidente della provincia e permanenza della giunta).
Noi siamo in conclusione convinti che si debba ragionare sulla rappresentanza politica a livello mandamentale per superare sia la frammentazione comunale, sia la nozione stessa di ente intermedio, attraverso una nuova mappatura del territorio che individui aree omogenee sulla scorta di una verifica concreta delle esigenze amministrative e non su supposte identità, che lasciamo volentieri ai fondamenti della retorica leghista.

di RINO BATTOCLETTI e LEOPOLDO COEN

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