30 Maggio 2018

La senatrice Rojc premiata per le lingue minori (intervista)

    La triestina Tatjana Rojc è tra i vincitori del Premio Ostana, Scritture in lingua madre 2018 per le minoranze linguistiche. Intellettuale profondamente inserita nelle vicende culturali, linguistiche e sociali della comunità nazionale slovena in Italia, Rojc è docente di lingua e letteratura slovena e nel 2018 è stata eletta al Senato della Repubblica italiana come rappresentante della minoranza slovena. Il premio (già vinto nel 2010 da Boris Pahor) sarà conferito a Ostana, paese occitano di 85 abitanti in Valle Po ai piedi del Monviso, nel corso del prossimo fine settimana, quando l’autrice sarà protagonista di un incontro, a cura di Pietro Spirito, intitolato “Sono un esiliato per sempre – La narrativa slovena tra Kosovel e Pahor”. Gli altri vincitori del Premio Ostana sono Juan Gregorio-Regino (poeta di lingua nazateca, Messico), Adi Olluri (scrittore kosovare di lingua albanese), Matthieu Poitavin (autore occitano di nazionalità francese), Doireann Ni Ghriofa (poetessa di lingua gaelico irlandese), Aleksej Leontjev (accademico di ingua ciuvascia, Russia), Joan Isaac (cantautore catalano) Asier Altuna (regista basco), Bon Holman (linguista americano). Da dove nasce questo sentimento da esiliati? «Vivere a ridosso del confine – rispinde tatjana Roijc – porta a sentirsi esiliati: Srečko Kosovel, che aveva preso la cittadinanza jugoslava per studiare a Lubiana, quando tornava a casa, in Carso, si sentiva in esilio. Anche il poeta Miroslav Košuta, nato a Santa Croce, cui era stato imposto il nome di Angelo Cossutta, un’identità in cui non si riconosceva, scrive di questa condizione. Tutti gli autori di confine raccontano la stessa storia. C’è Boris Pahor naturalmente, c’è stato Tomizza». Questa condizione diventa uno stimolo per fare letteratura? «Indubbiamente. Tutti questi autori hanno proposto domande che ruotano attorno al tema dell’identità, anche se ci sono identità diverse. Evgen Bavčar, filosofo e fotografo sloveno che vive a Parigi ha dato un nome a questo senso di appartenenza. Per lui ‘lingua intima’ è la capacità di dialogare con se stessi e di rapportarsi con gli altri». Uno scrittore di confine si pone il problema di quale lingua usare? «Io ho scritto in lingua italiana (l’ultimo romanzo si intitola “La vita che vorrei avere” (La Nave di Teseo, 2017), ndr) proprio per porre un filtro tra quello che porto come codice genetico e la lingua che ho elaborato, facendo i conti con una memoria che non è la mia. Chi vive in un contesto chiaro non si pone il problema dell’identità, viceversa chi come noi è cresciuto in una terra densa di storia, che ha creato divisioni, è abituato a fare i conti con l’alterità. È faticoso ma è anche una ricchezza». Lo sloveno, che ha due milioni e mezzo di parlanti al mondo, è considerato una lingua minoritaria. «Preferisco definirlo una lingua europea, non minoritaria. È una lingua che ha da sempre valenza letteraria, ha una sua melodia, è legata alla musica corale, ai canti liturgici, del resto tutti i popoli slavi hanno rapporto forte con melodia. E a proposito di esilio, gli sloveni emigrati hanno un fortissimo legame con la lingua, anche chi non ha mai messo piede in Slovenia». Con il prossimo anno lo sloveno potrà essere scelto come seconda lingua nelle scuole medie di Trieste… «Manlio Cecovini aveva detto molti anni fa che doveva essere insegnata a scuola, adesso la sua introduzione è una operazione di civiltà. I ragazzi avranno la possibilità di una conoscenza linguistica e culturale nuova che potrà aprirsi ad altre lingue slave e si potranno offrire inaspettate possibilità di lavoro. E poi, anche se non ci possono essere memorie condivise, il rispetto reciproco è la più solida base per costruire una società migliore». (L’intervista alla senatrice triestina Tatjana Rojc, è di Paolo Marcolin ed è stata pubblicata su Il Piccolo del 29 maggio 2018)
In primo piano