Ricordare l’Orcolat
Shaurli: dare un futuro ai nostri paesi e ai nostri figli
Ricordare l’Orcolat di 43 anni fa significa commemorare prima di tutto le vittime, i paesi schiantati del nostro Friuli: la grande distruzione.
C’è anche qualcosa in più, che è rimasto dentro chi nel ’76 era bambino come me. Qualcosa di difficile da spiegare oggi.
Dopo i lutti e lo spavento, abbiamo toccato con mano la straordinaria unità delle nostre genti, visto le persone che si aiutavano reciprocamente, sentito un clima di vicinanza, di affetto. In quelle tende e in quelle baracche abbiamo avuto la sensazione di essere davvero una comunità, una grande famiglia .
Qualcuno ritiene ancora che ‘fasin di bessoi” sia il segreto della nostra ricostruzione. No, avemmo bisogno di tutti, dell’Esercito, dei nostri Alpini con le loro molte vittime, della solidarietà nazionale e internazionale, di emigranti che tornavano, di uomini delle Istituzioni come Zamberletti. Da soli non ce l’avremmo fatta.
Tuttavia, quel ‘facciamo da soli’ come quel ‘prima le fabbriche’, era un grido d’orgoglio e di autonomia, di un territorio che voleva essere protagonista principale della propria rinascita e del proprio futuro. Il Friuli ringrazia e non dimentica, non dimenticherà mai.
Si è asciugato le lacrime e ha voluto mettere in campo la sua forza, il suo cuore e la sua intelligenza, superando divisioni politiche e campanilismi. Se non vogliamo scivolare nell’agiografia, dobbiamo ricordare anche i momenti difficili e tesi, che ci sono stati e che abbiamo affrontato insieme. Il dato essenziale che ci viene consegnato da quella terribile esperienza è che non abbiamo mai fatto venir meno le priorità e la chiarezza dell’obiettivo: dovevamo dare un futuro ai nostri paesi e ai nostri figli.
L’esempio del terremoto e della ricostruzione del Friuli è di una grandezza che spaventa. Ma tutti, nei diversi ruoli, dovremmo ogni giorno tenerlo come riferimento del nostro agire. Anche oggi, anzi oggi ancora di più.