27 Dicembre 2019

Shaurli boccia Fedriga: «Due anni inutili per il Fvg»

L’intervista rilasciata dal segretario Shaurli a Mattia Pertoldi, pubblicata dal Messaggero Veneto del 27 dicembre 2019

La bocciatura, nei confronti della Regione, è totale. Cristiano Shaurli, che ha appena festeggiato un anno alla guida del Pd del Friuli Venezia Giulia, non salva praticamente nulla del primo biennio di legislatura di Massimiliano Fedriga e, per quanto riguarda il proprio partito, guarda al futuro con la richiesta, e l’auspicio, che il probabilissimo nuovo congresso nazionale non si trasformi nell’ennesima occasione per lo sviluppo di altre correnti interne.

Segretario, dal suo punto di vista che anno è stato questo, in Regione, per il Friuli Venezia Giulia?

«Direi un anno inutile, anzi ormai siamo a due anni gettati al vento. Un biennio segnato da un presidente che ha scelto di fare soprattutto il segretario della Lega e di diventare la cassa di risonanza della propaganda di Matteo Salvini. Non si è vista una scelta strategica per il futuro della regione e che sia immediatamente percepibile dai cittadini come una visione di sviluppo e di crescita per il territorio».

Nemmeno le due riforme simbolo, enti locali e sanità?

«No, perché se ci riflettiamo parliamo di due leggi che hanno bisogno di un ulteriore anno per partire considerato come siano soltanto delle cornici. E se pensiamo a SviluppoImpresa, o come verrà chiamata, tra l’approvazione e la stesura dei regolamenti attuativi prima del 2021 non si vedrà un investimento vero sull’economia e sui posti di lavoro».

Qual è il giudizio generale sulla giunta?

«Mi pare un esecutivo che ha soltanto obbedito alla linea politica della Lega. Sembra di avere di fronte un monocolore, visto che di altri partiti non vi è traccia. Le scelte e le prese di posizione politiche sono tutte targate Lega. In alcuni settori vediamo poi una giunta davvero mancante e penso, ad esempio, all’assessorato alle Attività produttive che, rispetto alle grandi aspettative, è quello dimostratosi più debole e meno capace di incidere».

Non si salva nessuno?

«Dal punto di vista dei risultati no. Poi c’è chi ha più potere, come Pierpaolo Roberti, e altri che hanno la capacità di stare sui problemi, vedi Alessia Rosolen. Detto questo, nemmeno loro hanno raggiunto obiettivi significativi, almeno che io ricordi».

In questo anno è mezzo lei è stato, spesso, molto critico anche in relazione al ruolo del Consiglio…

«A livello generale credo che dovremmo ragionare tutti su come ridare ruolo, importanza e dignità al Consiglio, piegato sempre più alle scelte della giunta e molto meno alla sua capacità legislativa. Detto questo, con il centrodestra siamo andati ben oltre a quanto accaduto in passato».

Può spiegarsi meglio?

«Non ho visto un consigliere regionale capace di mettere in campo qualcosa che non fosse una semplice reiterazione delle parole di Massimiliano Fedriga. Siamo di fronte a un Consiglio di fatto appiattito sulle posizioni della Lega, senza autonomia né di giudizio né di proposta. E comunque anche le poche idee arrivate dal Consiglio sono tutte di leghisti. Gli altri componenti della maggioranza non hanno nemmeno dignità di firma».

Passiamo al Pd. Qual è l’attuale condizione del gruppo consiliare?

«Abbiamo superato un anno in cui le nostre scelte, che rivendico e difendo, erano talmente vicine che era impossibile dire “non siamo d’accordo”. Ora però siamo in una fase in cui, accanto alla dimensione di giusta critica e opposizione, dobbiamo mettere in campo anche le alternative per la Regione del 2023».

A un anno dall’inizio della sua segreteria come è cambiato il Pd regionale?

«Finalmente abbiamo archiviato questa sorta di vergogna per quanto realizzato al governo. Adesso, metabolizzato il lutto, è giusto andare oltre. Dobbiamo essere orgogliosi delle scelte prese, ma sapere che queste cambiano nel tempo, non si difendono a prescindere fino al 2023 e vanno tarate per costruire un’alternativa credibile al centrodestra».

È fattibile con una Lega così forte?

«Se i numeri dovessero essere sempre questi sarebbe difficilissimo, ma io ho provato in prima persona a essere al 40% e arrivare al 17% in un attimo. La politica, ultimamente, è molto veloce».

A proposito di chi vi aveva portato al 40%, qualche cespuglio ha seguito Matteo Renzi anche da noi…

«Rispetto ad altre regioni le fuoriuscite sono state limitatissime. Credo che questo sia anche figlio di una scelta unitaria compiuta lo scorso anno con Paolo Coppola al congresso regionale. E rivendico con orgoglio, come risultato di tutto il partito, che si contino sulle dita di una mano le persone che hanno lasciato il Pd per Renzi oppure Carlo Calenda».

Da un punto di vista politico, invece, come la vede?

«Non penso che i cittadini, in questo momento, vedano la ricerca del “grande centro” come un mantra salvifico. Penso che tutta l’Europa ci insegni che servono scelte chiare e radicali. Diverse, ovviamente, ma nette e capaci di disegnare una prospettiva di futuro. Dovremmo uscire un po’ da questo provincialismo italiano. La sfida è europea, le forze sovraniste, oggi, hanno una dimensione e una visione sovranazionale che quelle progressiste ancora non possiedono. La sfida vera è ricostruire un progetto comune che vada da Stoccolma a Palermo».

All’orizzonte nazionale, intanto, si staglia un altro congresso. Perchè?

«La scelta è quella di svolgere un congresso per tesi, di contenuti e la motivazione, che condivido, è chiara. Stavamo compiendo un percorso che ci vedeva all’opposizione di Lega e M5s. Oggi siamo al Governo del Paese con i grillini e, giocoforza, contenuti e proposte, anche in una fase congressuale, devono essere diversi e uniformati alla sfida e alla responsabilità che abbiamo. È una decisione opportuna, a condizione che il Pd abbia imparato, però, come un congresso non debba servire a nuove correnti e personalismi che non ci hanno portato nulla di buono».

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