Responsabilità e libertà individuale ai tempi del virus
di Salvatore Spitaleri
Il Covid19 non è solo un virus aggressivo per la nostra salute e per la nostra economia, ma è un banco di prova o meglio una cartina di tornasole per comprendere, ora e per il futuro, la strana alchimia tra libertà individuale e responsabilità sociale o di comunità.
Si tratta di un dosaggio molto complicato da trovare, perché rischia di oscillare continuamente tra anarchia (o meglio totale disinteresse a regole) e dittatura (o meglio regole oppressive dei diritti, in genere, altrui).
La responsabilità sociale non è un dato naturale e universale e per questo può essere oggetto o di educazione, e non appaia come un controsenso rispetto al classico metodo socratico, o di coercizione.
La responsabilità sociale non è semplicemente un limite alla propria libertà individuale (quanti ricordano un refrain con il quale siamo cresciuti: “la mia libertà finisce dove inizia la tua”) , ma è il farsi carico di una convivenza che via via diventa, appunto, comunità: non più semplicemente un dato fisico (persone che si trovano in un dato territorio), ma persone che vivono e interagiscono in un dato territorio, che è diventato sempre più vasto e senza confini.
Ci sono stati, nella recente storia del nostro Paese, eventi e circostanze, nei quali il tema della responsabilità sociale si è via via forgiato e trasformato, a partire dalle tragedie della seconda guerra mondiale che i nostri nonni (e, per alcuni, anche i nostri genitori) hanno vissuto, agli anni tragici e tremendi del terrorismo e della strategia della tensione, e via via con la caduta dei muri, il sempre più libero accesso al mondo reale e virtuale, una crescita generalizzata, anche se molto diversificata, dei diritti individuali e di capacità economiche.
Tutto questo, nel bene e nel male, ha inciso e incide oggi sul delicato tema della responsabilità sociale, in quell’alternarsi di educazione e coercizione, e lo ripropone alle nuove generazioni.
Anche Covid19 è e sarà un elemento per il quale il tema della responsabilità sociale potrà essere svolta per una educazione di noi tutti, senza distinzione di età e condizione, o esclusivamente fonte di coercizione.
Non si può essere nostalgici dei tempi andati (perché spesso si tratta di una selezione di eventi ed esperienze), perchè la sfida riguarda il qui e l’oggi.
Ma allora cosa è questa benedetta responsabilità sociale o di comunità? Semplicemente una ulteriore limitazione delle mie libertà e prerogative o qualcosa di diverso?
Ritengo che sia la consapevolezza del vivere tra molte e diverse persone; la necessità che esista un principio di organizzazione e di regole; la sensibilità verso chi oggi si trova in maggiore difficoltà, se non altro perché domani potrebbe toccare a noi; il rispetto, che non è cieca obbedienza, nei confronti di chi è deputato a fare scelte e dare regole.
Forse c’è molto altro, al tempo di Covid19, come per esempio: non scappare dalle zone rosse, sapere che alcuni comportamenti servono a proteggere chi è più debole; evitare di sostituire la presenza a scuola o all’università con l’affollamento in bar e centri commerciali; ringraziare chi sta in prima linea; sapere che si può essere comunità anche senza riempire uno stadio; avere chiaro, per chi è chiamato a decidere, quali sono confini e limiti del proprio ruolo.
La responsabilità sociale non è quella di qualcun altro, è anche la tua e la mia.
dal Messaggero Veneto del 14/03/2020