Srebrenica: 30 anni da strage vergognosa
IL RICORDO DI TATJANA ROJC AL SENATO
Domani ricorreranno 30 anni da una delle pagine più dolorose e vergognose della storia dei Balcani, dell’Europa e degli organismi internazionali. L’11 luglio 1995 l’unità paramilitare degli Scorpioni e le truppe regolari serbo-bosniache del generale Ratko Mladic entrano a Srebrenica e cominciano il massacro di oltre ottomila bosgnachi. Sulla strage, il brindisi tra i macellai e l’Onu che si era assunta la protezione dell’enclave musulmana e che, al momento decisivo, ha lasciato indifese migliaia di persone.
Ancora qualcuno nega l’accaduto. Negare significa togliere dignità al dolore, rovesciare il senso della lezione dell’odio, impedire che la giustizia si dispieghi anche per chi è venuto dopo.
Torna a noi la domanda su quale sarà il futuro di questa terra, che pure ha saputo liberarsi dal nazifascismo, che pure è stata per decenni un luogo in cui serbi, croati, bosgnacchi, cattolici, ortodossi, mussulmani avevano vissuto e lavorato assieme con pari dignità tutto il periodo postbellico fino agli anni novanta.
La guerra fratricida che è seguita alla disgregazione della Jugoslavia ha chiuso e rapidamente rimosso una parentesi, ha ricollegato l’attualità all’inizio del Novecento. Non è bastato imporre la fratellanza dall’alto, gli equilibri si sono frantumati e i Balcani sono tornati a essere la polveriera d’Europa.
La sequela delle stragi ha spesso indotto al rimpallo delle colpe, a un esercizio maligno che rimanda sempre a un altro e precedente responsabile. Così, il campo di concentramento degli ustascia di Ante Pavelić a Jasenovac è una pagina nera della storia del Novecento, oggetto di strumentalizzazioni e operazioni riduzioniste. Però guai a usare i morti gli uni contro gli altri. Serbi e croati, cristiani e musulmani, italiani e sloveni, sono stati tutti vittime. Ma i carnefici di Srebrenica hanno nomi e cognomi, come i loro complici.
Qualsiasi tentativo di negare, banalizzare o minimizzare la gravità di queste stragi, o di assolvere in qualunque modo i suoi esecutori è moralmente osceno.
C’è chi parla della vocazione al dolore nei popoli dei Balcani, chi ha detto che hanno in loro un atavico richiamo per il sangue, che non c’è niente da fare. Una comoda lettura per starsene a guardare mentre imperi e potenze d’area tirano i fili delle tensioni e accendono micce.
Da Srebrenica in poi, noi abbiamo un dovere un più verso questo tormentato lembo d’Europa. E l’inclusione dei Balcani occidentali nella grande casa dei popoli europei è l’unica via per garantire la pace, per dare la possibilità di sviluppo e stabilità. Senza i Balcani l’Europa è mutilata.